Cambiare l’Italicum. È una delle tre condizioni che la minoranza del Pd sta ponendo (da mesi) al presidente del Consiglio Renzi per disporsi a votare Sì al referendum costituzionale. Le altre due sono la disponibilità a discutere una legge per l’elezione dei senatori-consiglieri regionali (Renzi è disponibile, ma dopo il referendum) e che la campagna elettorale non sia trasformata in una battaglia personale (Renzi dice che non è lui a volerlo). L’Italicum dunque è un po’ la penultima trincea, e Bersani ha ripetuto ieri la sua richiesta, nemmeno troppo perentoria: «Suggerisco che venga dichiarata la disponibilità, una volta approvata la riforma, a rivedere l’Italicum». Perentoria è stata la risposta del Pd. «Questione chiusa», «non è all’ordine del giorno», «non ci sono le condizioni», hanno detto uno dopo l’altro il presidente del partito Orfini e i vice segretari Serracchiani e Guerini.

L’Italicum è la nuova legge elettorale ultra maggioritaria approvata sulla scia del vecchio Porcellum (abbattuto dalla Corte costituzionale) poco più di un anno fa. Non è ancora pienamente efficace, lo sarà all’inizio del prossimo luglio, ma dal momento che è una legge studiata solo per la camera dei deputati ha senso solo se e quando la riforma costituzionale che abolisce il senato elettivo sarà promulgata (bisogna aspettare il referendum). La minoranza Pd ha da subito evidenziato il legame pericoloso tra una legge che regala al primo partito – a prescindere dalla percentuale che raccoglie nelle urne – una maggioranza autonoma del 54% (340 seggi) e la riforma costituzionale che abolisce l’altra camera elettiva. «Bisogna considerare nel suo insieme le due riforme per capire che tipo di democrazia si vuole», ha detto ieri D’Alema. E ha spiegato. «Se si va verso un sistema in cui più della metà dei deputati saranno nominati dai capi dei partiti e i senatori saranno scelti dai consigli regionali, ai cittadini cosa rimane da fare? Giocare a briscola?». Il riferimento è al sistema dei capilista bloccati previsto dall’Italicum, che in effetti garantisce l’elezione dei «cerchi magici» sia per quanto riguarda il partito vincitore (che però può mandare alla camera anche altri deputati scelti con le preferenze) sia per quanto riguarda i partiti sconfitti (che invece eleggeranno solo i capilista). La minoranza Pd si è rifiutata di votare l’Italicum nell’ultimo passaggio, sia al senato (in 25 scelsero la meno impegnativa soluzione di uscire dall’aula) sia alla camera (nel voto segreto circa una sessantina di dissidenti si divisero tra no e astensione).
Contro la nuova legge elettorale è in corso da quasi due mesi una campagna di raccolta delle firme per due referendum abrogativi. Andrebbero a colpire due aspetti decisivi dell’Italicum, il premio di maggioranza – che si punta a riservare solo a chi riesce a vincere al primo turno con il 40% almeno dei consensi. E il meccanismo dei capilista bloccati, che peraltro al momento è replicabile in dieci collegi diversi e così moltiplica le chance per il capo partito di scegliere in solitudine i promossi e i bocciati. Né Bersani né il resto della minoranza Pd ha dato indicazione in favore di questi referendum, non hanno invitato i loro elettori a firmare.

La versione finale dell’Italicum, approvata dopo la rottura del «patto del nazareno» tra Berlusconi e Renzi, assegna il super premio di maggioranza alla prima lista, non più alle coalizioni di liste. Per la minoranza Pd questo è uno dei limiti della legge, anche perché non esclude la formazione di listoni di coalizione (tant’è vero che la legge sui partiti che si sta discutendo alla camera ha dovuto prevedere proprio questa ipotesi). Ma alla richiesta di Bersani di intervenire su questo aspetto, ha risposto seccamente Orfini: «Io considero che il premio di lista sia una delle cose migliori dell’Italicum perché garantisce da alleanze spurie». Per allearsi con il Pd, in altre parole, Verdini dovrà correre sotto lo stesso simbolo.