Si è conclusa in Venezuela la farsa del governo ad interim di Juan Guaidó, il presidente fantasma – senza governo, senza esercito e senza popolo – che Maduro aveva preferito lasciar cuocere nel suo brodo, evitando astutamente di trasformarlo in un martire.

A decretarne la fine, a quasi quattro anni dall’autoproclamazione di Guaidó l’11 gennaio del 2019, sono stati, in maniera del tutto indolore, gli ex parlamentari dell’Assemblea nazionale eletta nel 2015, quando l’opposizione si era presentata compatta strappando la maggioranza al chavismo: quell’Assemblea che una parte della comunità internazionale, compresa l’Unione europea, ha continuato a considerare l’unica legittima, benché le sue funzioni siano cessate già nel 2021.

DURANTE LA SESSIONE convocata giovedì, la proposta di archiviare la presidenza ad interim, presentata da tre dei quattro principali partiti dell’alleanza di opposizione Plataforma Unitaria – Un Nuevo Tiempo, Primero Justicia, Acción Democrática e Movimiento por Venezuela -, è passata con 72 voti a favore, 23 contro e 9 astensioni.

E benché sia previsto un secondo voto la prossima settimana, non c’è nessuno disposto a scommettere su Guaidó, malgrado la sua cricca non abbia lesinato sforzi per salvarlo: girano voci che sia addirittura arrivata a offrire fino a 20mila dollari a voto, minacciando di ritirare i visti statunitensi a chi si fosse pronunciato contro di lui.

Prima del voto, era stato il rappresentante di Primero Justicia Alfonso Marquina a evidenziare ciò che era chiaro agli occhi di tutti da almeno due anni: che, cioè, l’opposizione avrebbe dovuto «aprirsi a nuove strategie», dal momento che la figura di quello che era stato definito come il «governo per internet» di Guaidó non era più funzionale alla realizzazione degli «obiettivi del popolo del Venezuela».

E ANCORA più netto è stato l’ex governatore dello stato di Miranda Henrique Capriles, ricordando impietosamente il fallimento di quella presidenza ad interim che era stata creata allo scopo di convocare nuove elezioni presidenziali in un arco di tempo di 30 giorni.

Circa 1.450 giorni dopo, di quel progetto non è rimasto altro che un sistema di privilegi di cui ha ampiamento goduto un gruppo di dirigenti di destra. «A che serve il governo ad interim – ha denunciato Capriles – se non prende decisioni, non aumenta i salari, non amministra l’economia, non gestisce i servizi?».

E neppure funziona la scusa, su cui ha provato a far leva Guaidó, della salvaguardia dei beni venezuelani all’estero, a cominciare dall’impresa petrolifera Citgo, giacché, ha detto, a proteggere quest’ultima non è il governo ad interim ma un «ordine esecutivo degli Stati uniti».

In realtà, non è che l’opposizione intenda mollare l’osso: vuole, semplicemente sottrarlo a Guaidó e al suo gruppetto. Per questo dovrà essere una commissione designata dagli stessi ex parlamentari a doversi occupare di quei beni.

NESSUN COMMENTO è venuto finora dagli Stati uniti, che, tuttavia, sembrano ora più interessati al dialogo con Maduro – di cui sono un importante segnale i contratti firmati alla fine di novembre tra il governo e la Chevron per il proseguimento delle attività produttive dell’impresa Usa in Venezuela -, mentre proseguono, ma lentamente, i negoziati tra governo e opposizione.

Sostenuto ormai solo dal partito Voluntad Popular, Guaidó – sempre più «triste, solitario y final» – non serve insomma più a niente. Ma se le sue invocazioni a un intervento militare straniero – ripetute in passato fino allo sfinimento – sono cadute nel vuoto, il suo nome resterà di sicuro legato alla strategia dello strangolamento economico del governo Maduro.

Una politica che, se non è servita a rovesciare il presidente, ha tuttavia contribuito pesantemente a svuotare il processo bolivariano di tutte le sue istanze più rivoluzionarie, allontanando da Maduro parte della sinistra venezuelana.