Lunedì 18 ottobre Stelios Petsas, portavoce del governo greco, ha annunciato il completamento della barriera di divisione al confine tra Grecia e Turchia. Si parla di un tratto di muro di 26 chilometri, per un costo di 63 milioni di euro.

Verrebbe così terminato – come annunciato a più riprese dopo la vittoria elettorale della destra alle elezioni dell’estate 2019 – il sistema di filo spinato e blocchi di cemento costruito a partire dal 2012 e che a oggi è lungo 12,5 chilometri.

È IL PRIMO ATTO CONCRETO dopo la crisi di febbraio 2020, poco prima che la pandemia cambiasse tutto. Erdogan aveva invitato i rifugiati a recarsi alla frontiera con la Grecia, minacciando l’Ue di non rispettare più l’accordo di esternalizzazione (lautamente finanziato dai fondi dei contribuenti europei) del 2016.

La tensione era alle stelle, per una settimana, con Amnesty International e altre organizzazioni che denunciavano la brutalità della polizia e dell’esercito greco.

Atene, per altro, in barba a qualsiasi convenzione internazionale, sospese per mesi la possibilità di presentare richiesta di protezione internazionale per i profughi.

Rientrata la crisi di febbraio, la retorica del governo di Atene e di quello di Ankara hanno continuato a ruotare attorno ai profughi, pur avendo n agenda temi molto più spinosi, come le trivellazioni attorno all’isola di Kastellorizo, che hanno portato a un confronto dai toni sempre più aspri tra i due esecutivi.

I MIGRANTI, si sa, sono un argomento sempre buono per una tensione che tra i due paesi è vecchia di decenni e che, in una zona di pochi chilometri, vede insistere in realtà tre frontiere, compresa quella che i due Stati condividono con la Bulgaria.

Una tripla frontiera che è una parte della storia d’Europa, magistralmente raccontata dalla scrittrice bulgara Kapka Kassabova.

«LA GENTE DEL CONFINE riflette l’eredità dello stesso: li accomuna il trauma, tutti sono traumatizzati, collettivamente o personalmente, anche quando non se ne rendono conto. Diffidenza dello Stato, cautela verso gli estranei, eccessiva verticalità, a volte fanatismo. E fatalismo: non sai mai cosa ti colpirà. E poi fuga, ribellione. E infine quelli che non vengono dal confine, ma ne sono inesorabilmente attratti», racconta Kassabova.

«Ogni identità politica è un prodotto manufatto, non un prodotto organico. La cultura di confine e la cultura nazionale vanno di pari passo, e spesso è coinvolta una qualche forma di violenza o propaganda dello Stato. Perché dimentichiamo quanto siano recenti gli Stati e i confini nazionali. Come erano fluide queste ‘identità’, più regionali e locali che ‘nazionali’». Eppure, proprio per questo forse, si tratta di uno dei confini più militarizzati del mondo, da sempre e nonostante Grecia e Turchia siano entrambe nella Nato.

IL FIUME EVROS finisce per essere una metafora di questo “limes” ideale, oltre che fisico. Per anni, in piccoli gruppi, prima che nel 2015 la Balkan Route diventasse di dominio pubblico, le persone attraversavano il fiume e il suo immenso e splendido delta, passando tra Europe vicine e diverse.

Le mine antiuomo che segnavano il confine dalle tensioni degli anni ’70, quando l’esercito turco occupò la parte settentrionale dell’isola di Cipro, hanno significato la morte per molti di loro.

Allora la contesa era appunto per Cipro, con la giunta militare fascista al potere ad Atene che studiava l’annessione dell’isola e Ankara – con i suoi di militari – sfruttò l’occasione di “dover” tutelare la comunità turca dell’isola per occuparla. E Cipro è divisa ancora oggi.

La mossa della costruzione del muro, oggi più che mai, non serve a nulla. Il numero dei profughi, dopo il crollo dei numeri post-Covid, è relativo e soprattutto è concentrato sulla tratta via mare, quella che porta a isole come Lesbo, che avrebbero molto più bisogno dei 63 milioni di euro investiti su un muro inutile, essendo al collasso come l’incendio del campo di Moria ha mostrato.

COME AL SOLITO, però, arriverà l’Ue a co-finanziare il progetto, ignorando che il vero problema è la decenza. L’inchiesta del collettivo investigativo Bellingcat, ripresa dai maggiori quotidiani europei, ha documentato come l’agenzia Ue Frontex, dedicata al controllo dei confini esterni, era a conoscenza dei respingimenti illegali che la Grecia eseguiva, nonostante avesse negato qualsiasi coinvolgimento.

Almeno sei casi in cui Frontex è stata direttamente coinvolta in un respingimento nell’Egeo o nelle immediate vicinanze sono ormai agli atti. Che una forza che conta su 600 agenti non abbia visto nulla, compresi attacchi di uomini mascherati a gommoni che trasportavano donne e bambini e pericolose manovre per creare onde capaci di rovesciare le imbarcazioni di fortuna dei disperati da parte di grandi navi che lasciano firme radar è discutibile. Anzi, assurda. O c’è malafede o incompetenza. In nessuno dei due casi si giustificano investimenti così massicci.

Come non si giustificano queste spese di fronte ai numeri: l’Ue ha registrato un calo del 70% dei migranti che entrano illegalmente in Grecia dalla Turchia nei primi nove mesi del 2020. Lo conferma un rapporto della Commissione Ue e della stessa Frontex. Si parla di 14.579 ingressi illegali, a fronte dei 48.554 dell’anno prima. Il dato è il più basso dal 2015.

QUESTA NUOVA SEZIONE di muro sarà alta cinque metri e sarà realizzata con tubi quadrati di acciaio zincato, con fondamenta in calcestruzzo. Arricchita da una rete di telecamere di sorveglianza per coprire l’intero confine greco-turco.

La presentazione ufficiale del muro tra Grecia e Turchia, lo scorso 17 ottobre ad Alexandroupolis (Foto: Ap)

 

«Saranno inoltre operative le ‘sirene mobili ad alta potenza’, che hanno lo scopo di scoraggiare i migranti che attraversano», ha dichiarato Ilias Akidis, capo dell’associazione degli agenti di polizia della regione di confine greca. Le sirene mobili sono dispositivi acustici a lungo raggio (Lrad) noti come «cannoni a onde sonore».

Una misura che pagheranno famiglie, donne e bambini, spersi nei boschi e nelle strade di un confine che è e sarà sempre uno dei principali crocevia di ben altri traffici. Solo nel 2020, Europol ha certificato oltre venti operazioni transfrontaliere tra i tre paesi. E i migranti non c’entrano.

Alcuni esempi: l’operazione Medicus, per un traffico di quasi 5mila beni archeologici rubati, tra Turchia e Bulgaria, molti provenienti dalla Siria, o la rete di falsari che produceva euro tra Salonicco in Grecia e Plovdiv in Bulgaria, fino alla rete criminale attiva dal 2016 e smantellata quest’anno che reclutava a forza donne incinte vulnerabili dalla Bulgaria. Il gruppo le trasportava a Salonicco, in ospedali privati per partorire i loro bambini.

I neonati venivano poi adottati illegalmente per un prezzo compreso tra 25mila e 28mila euro ciascuno. I costi includevano il pagamento della madre biologica, tutte le spese legali, il ricovero in ospedale, il parto e i profitti del gruppo criminale. Alcune madri portate in Grecia sono state utilizzate anche come surrogate. Ma il prezzo del confine dovrebbero pagarlo solo i migranti.

«L’IRRIGIDIMENTO delle identità, come espressioni del nazionalismo, sono sentimenti di paura (che è l’opposto del potere). Viviamo in un’epoca di grande paura del futuro. Anche i nostri muri più alti sono un’espressione della nostra paura collettiva del futuro. Questa paura del futuro, o dell’altro, è paura di noi stessi – conclude Kassabova – Perché non abbiamo integrato la nostra ombra. Soffriamo di dissonanza cognitiva quando tentiamo di definirci come ‘nazione’. E la cultura di confine, con la sua mentalità binaria di divisione, odio e paura, è un problema che si presenta come una soluzione. Il costo per scoprire la differenza è alto, come ha dimostrato la Cortina di ferro. La sfida che ci attende è quella di continuare a ricordare ciò che amiamo, non ciò che temiamo».