I giovani sono tornati a riempire piazze e strade in tutto il mondo dopo la lunga parentesi della pandemia e la loro pressione è destinata ad aumentare in assenza di politiche incisive. Come è probabile che si moltiplichino i risultati.

Ursula Von der Leyen ha dichiarato che una delle motivazioni che l’hanno convinta ad alzare al 55% l’obiettivo di riduzione delle emissioni climalteranti europee al 2030 è stata la forte pressione delle mobilitazioni giovanili. E quest’anno la Corte costituzionale tedesca ha bocciato le politiche del governo, dando ragione ad alcune associazioni ecologiste, tra cui i Fridays for Future. La motivazione data è che altrimenti si sarebbe rischiato di «compromettere la libertà» delle generazioni future in quanto l’onere maggiore nella riduzione delle emissioni era spostato a dopo il 2030.

La risposta della Merkel è stata rapidissima con l’adeguamento delle politiche climatiche. Così il taglio delle emissioni al 2030 è stato alzato dal 55% al 65% e il raggiungimento della neutralità climatica è stato anticipato al 2045, cinque anni prima di quanto già stabilito.

Le mobilitazioni dei giovani di ieri sottolineano l’importanza di affrontare la crisi ambientale con la stessa determinazione con cui si sta gestendo l’impatto del Covid-19.

E’ però difficile riscontrare nel mondo politico italiano la stessa consapevolezza dei rischi e la stessa fermezza nelle politiche climatiche. Anzi, le posizioni dei governi sono state storicamente «difensive», a volte accodandosi alle posizioni più retrograde dei paesi dell’Est nella definizione delle scelte climatiche.

Da questo punto di vista è apprezzabile l’affermazione di Draghi nel discorso di ieri alle Nazioni Unite che la transizione ambientale ha dei costi significativi ma può essere anche un motore di crescita economica. Un messaggio diverso rispetto al rischio di «lacrime e sangue» paventato dal ministro della transizione ecologica Cingolani e rilanciato prontamente da diversi programmi televisivi.

Prendiamo ad esempio il rischio di un forte aumento delle bollette, inizialmente addebitato anche alla transizione energetica. In realtà sia il vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans, che in Italia Enel e Terna hanno sottolineato che se si fosse accelerata l’installazione delle fonti rinnovabili il peso del gas utilizzato nella generazione elettrica sarebbe stato inferiore.

In Italia, in particolare, da otto anni non si vede crescere la quota di elettricità verde sia per l’incredibile durata dei tempi autorizzativi che per la timidezza dei governi.

E’ bene ricordare che il crollo del prezzo del fotovoltaico e dell’eolico consente oggi di immaginare uno scenario completamente diverso rispetto al passato, prefigurando una fortissima crescita delle rinnovabili con incentivi minimi, ma con opportuni adeguamenti normativi.

Ad esempio, si potrebbe incoraggiare la partecipazione delle rinnovabili ai servizi di rete aumentandone così la programmabilità della produzione e riducendo il costo delle bollette.

Ovviamente andrà superato il proliferare di opposizioni locali spesso pretestuose, come l’azione sistematica di blocco delle Soprintendenze, entrambe sempre meno compatibili con l’emergenza climatica che avanza.

Gli scienzati ricordano che in questo decennio si giocherà la possibilità di evitare esiti catastrofici. Ma, focalizzando l’attenzione sull’incisività e sull’urgenza delle politiche da avviare, questo potrà essere un decennio di straordinarie opportunità in tutti i settori, dalla generazione elettrica alla mobilità, dalla riqualificazione urbana alle riconversioni produttive, in presenza di lucidità politica.

E per evitare la vaghezza di impegni spesso vista in passato, sarà indispensabile definire piani concreti con bilanci annuali e dettagliati delle emissioni climalteranti. Come è indubbiamente necessario un coinvolgimento attivo del mondo produttivo, degli enti locali, delle forze sociali ed ambientaliste e del mondo giovanile.

* Direttore scientifico Kyoto Club