Quello scelto dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella è senz’altro il modo migliore che si potesse immaginare per rendere vivida e non solo testimoniale la commemorazione dell’omicidio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso in un agguato mafioso insieme alla moglie, Emanuela Setti Carraro e all’agente della Polizia di Stato, Domenico Russo il 3 settembre del 1982. Il Capo dello Stato, che conosce il dolore dei familiari delle vittime – suo fratello Piersanti venne ucciso sempre da Cosa nostra nel 1980, mentre ricopriva il ruolo di presidente della Regione Sicilia -, ha concesso la grazia parziale a due detenuti di cui uno è Ambrogio Luca Crespi, autore di docu-film condannato nel marzo scorso in via definitiva a sei anni di reclusione per concorso in associazione di stampo mafioso, per fatti commessi tra il 2010 e il 2012, anche se Crespi si è sempre dichiarato innocente. Il decreto per la concessione della grazia parziale è stato firmato anche per Francesca Picilli, condannata a dieci anni e sei mesi per omicidio preterintenzionale commesso nel 2012.

Sergio Mattarella, che con questo gesto si allontana anni luce dal chiacchiericcio inconcludente della politica giustizialista affezionata allo status quo, ha disposto per Crespi la riduzione della pena di un anno e due mesi e per Picilli di quattro anni, in modo che ai due condannati «rimarrà da espiare – recita la nota del Quirinale – una pena non superiore a quattro anni di reclusione, limite che consente al Tribunale di sorveglianza l’applicabilità dell’istituto dell’affidamento in prova al servizio sociale (art. 47 dell’ordinamento penitenziario)».

Nell’accogliere la richiesta avanzata dalla moglie di Crespi, con il supporto di nove associazioni, Mattarella ha tenuto conto del giudizio del Tribunale di sorveglianza di Milano che ha attestato l’«inesigibilità della rieducazione» per il regista che nel frattempo si è fatto testimone della lotta contro le mafie e per ultimo ha ideato e diretto il docu-film Spes contra Spem – Liberi dentro, sponsorizzato dall’associazione radicale Nessuno tocchi Caino, una sorta di manifesto contro l’ergastolo ostativo ma «senza buonismo né posizioni ideologiche».

Quella autorizzata da Mattarella a Crespi «è una grazia parziale che ha però un valore politico e simbolico enorme – commenta Sergio d’Elia, segretario di Nessuno tocchi Caino, una delle associazioni che hanno avanzato l’istanza – se teniamo conto della storia e del vissuto di chi l’ha concessa: un Presidente che non aveva di certo abusato di questa sua prerogativa costituzionale (26 grazie, tutte per reati comuni, concesse fino al febbraio del 2015, a fronte – ad esempio – delle 6.095 di Pertini e delle 1.395 di Cossiga); il fratello di una vittima di mafia che grazia un condannato per concorso in associazione mafiosa».

«Il caso di Crespi è emblematico e sintetizza bene i motivi per i quali intendiamo proporre una nuova legge – aggiunge Elisabetta Zamparutti, già componente del Comitato europeo per la prevenzione della tortura – al fine di restituire una speranza di vita a quei detenuti che nel corso del tempo maturano una condizione esistenziale in cui la pena perde ogni senso».