La crescita della proposta editoriale del graphic novel ragazzi sembra non arrestarsi e si arricchisce di titoli con protagoniste femminili dal carattere forte, al centro di storie significative per lettori di ogni età. Proponiamo qui un percorso tra albi a fumetti molto diversi che raccontano le storie di giovani donne coraggiose chiamate a compiere scelte difficili.

Recuperiamo un’uscita dello scorso ottobre pubblicata da Round Robin, con la collaborazione di ReCommon, associazione che si occupa di difesa del territorio e di informazione trasparente rispetto a fenomeni speculativi e abusi di potere. Fàula Birdi è la bugia verde raccontata da Erre Push, visual designer nato in Sardegna che si misura per la prima volta con il fumetto. La bugia del titolo racconta il «nuovo» colonialismo di cui è vittima la sua isola: la metanizzazione è solo l’ultimo passaggio di una lunga serie di progetti estrattivisti dove il promesso sviluppo economico passa dalla depredazione delle risorse, alla cessione delle terre, e spesso comporta un grande rischio ambientale. La favola verde del titolo è nello specifico la narrazione mendace che il colosso Metanfutura porta in pasto agli isolani, con promesse di assunzioni e di svolta nella crisi industriale, per le quali la protagonista Carla, appena laureata, torna dal continente convinta di poter sostenere un colloquio con l’importante multinazionale. L’intervista non avverrà mai: l’apertura della sede del colosso energetico viene sospesa per il ritrovamento di resti archeologici che gli addetti ai lavori della ditta sono sorpresi a trafugare. Carla grida allo scandalo, convinta che si tratti di un modo per intralciare i lavori di imprenditori che salveranno l’isola, ma il Dott. Murru, un medico pentito per aver collaborato con loro, le svela un’altra storia, molto simile a quella che nella realtà si consuma nell’isola. Murru spiega alla protagonista come poli industriali e basi militari abbiano inquinato il suolo e causato malattie gravissimi negli abitanti dell’isola, le apre gli occhi sull’impatto ambientale che il progetto di Metanfutura avrebbe sulla loro amata terra. Carla rivedrà le sue convinzioni e passerà dalla parte degli attivisti che si oppongono all’apertura della multinazionale. Erre Push usa colori diversi per i filoni della trama e personifica l’intervento dell’industria con un mostro che dal mare minaccioso si mangia la terra, il cui discorso traduce perfettamente l’idea del colonialismo industriale. Il libro è corredato da un glossario di parole ed espressioni sarde delle quali i personaggi fanno uso, senza che le nuvolette degli interni cessino di essere comprensibili, e di un’appendice a cura di ReCommon dove si spiega il problema del gas nella transizione ecologica, o meglio giusta, sarda.

A differenza di Carla che pur combattendo contro una minaccia reale, non esiste, la protagonista de La bibliotecaria di Auschwitz, (Il Castoro) degli spagnoli Salvo Rubio e Loreto Aroca, è una signora che oggi vive in Israele. Si tratta di Dita Adlerova, la cui vera storia è narrata nell’omonimo romanzo del giornalista spagnolo Antonio Iturbe; la giovane di famiglia ebrea, da Praga viene deportata con i suoi genitori nel ghetto di Terezín e dopo nel settore Bllb di Auschwitz. In questa parte del campo di lavoro l’organizzazione e il coordinamento sono in mano ad altri ebrei: ci sono una scuola, si allestiscono spettacoli teatrali per il divertimento di militari e internati e addirittura c’è una biblioteca, che per scelta del misterioso e affascinante Fredy Hirsch, sarà proprio Dita a gestire. La vicenda di Dita, pur presentando elementi storici noti a moltissimi giovani lettori, getta luce su aspetti meno conosciuti della deportazione, come appunto il trattamento particolare degli internati nel settore BIIb, che risponde a un esperimento di facciata utilizzato dai nazisti per rassicurare l’opinione pubblica su quanto avviene nei lager e dopo la deportazione.

Il racconto mostra un lavoro di adattamento notevole; come spiega lo sceneggiatore Salva Rubio nell’appendice in cui si fornisce un importante quadro storico accompagnato da dettagli tecnici sulla trasposizione, la sceneggiatura è stata asciugata e talvolta piegata alle necessità della narrazione grafica. Il fumetto vanta una scrittura semplice e asciutta e disegni molto espressivi, quasi cinematografici, ma né il testo, né i disegni indugiano in facili retoriche. Le virtù che salvano Dita-che oggi ha 93 anni- sono ovviamente la grande passione per i libri e la sensibilità per la diffusione e condivisione della lettura: quando Fredy, nume tutelare degli internati, le assegna il compito di custodire i pochi sgangherati libri e organizzare la biblioteca Dita è spaventata perché è cosciente del potere dei libri e sa che sono banditi dal campo, che svolgendo il proprio lavoro rischierà la vita. Ma non importa, anche perché la vita sua e quella di chi le è intorno è attaccata a un filo ed effettivamente lei ce la farà: mostrando coraggio e determinazione esemplari, la sua storia è la prova estrema del fatto che i libri salvano la vita.

Di nuovo i libri, insieme a un animale guida, salveranno invece Helen, la protagonista di La storia del topo cattivo (Tunué). Nel fumetto dell’autore britannico Bryan Talbot, che arriva nelle nostre librerie quasi 30 anni dopo la sua pubblicazione, la protagonista Helen scappa di casa per sfuggire alle molestie del padre che abusa di lei sin da quando era bambina e alla una madre violenta. Heln porta con sé solo la sua topolina e uno zaino con i libri di Beatrix Potter, nei quali sin da piccola si è rifugiata, imitando i suoi acquerelli. La seguiamo nel suo periplo londinese, senza mezzi né risorse sempre esposta alla violenza; la città è solo una tappa nel percorso che ha come meta i luoghi di Beatrix, il Lake District. Lì, dopo vari passaggi in autostop offerti da autisti più o meno corretti, riuscirà a fermarsi nel pub dei signori McGregor che a parte lavoro, vitto e alloggio, la accoglieranno come una figlia, offrendole l’affetto mai ricevuto a casa. Solo in questo contesto, Helen capirà che deve affrontare il padre e riuscirà a farlo, per poter poi prendere la sua strada. Il fumetto di Talbot è stato tradotto in molti paesi nei quali, come spiega Neil Gaiman nella prefazione, spesso è utilizzato come testo nei centri contro l’abuso sui minori. Ha uno stile grafico deciso, in cui gli spessi contorni neri delle vignette e delle figure contrastano con i colori pop e sgargianti; il realismo è tagliente almeno quanto la storia della terribile infanzia di Helen, del suo percorso fino all’emancipazione dal dolore, spiegato con dovizia di dettagli psicologici.

Curioso come Talbot, che aveva in mente una biografia della scrittrice, illustratrice e naturalista Beatrix Potter sia finito a trattare un tema tanto spinoso, ma come lui stesso precisa nei testi in appendice, anche la Potter fu una bambina oppressa, non compresa dai genitori, che dovette lottare per affrancarsi dalla sofferenza vissuta durante l’infanzia tra le mura domestiche ed successivamente affermarsi. Il topo cattivo del titolo è in realtà un modo per far riflettere sulla difficoltà che vivono le persone abusate per liberarsi dal senso di colpa, e su come la violenza-anche a detta di Jennifer Guerra, che firma la postfazione del volume- sia spesso molto più vicina di quanto non immaginiamo.