Il declino degli uccelli nelle aree di agricoltura intensiva, insieme a quello delle api, è un indicatore che esprime drammaticamente lo sconvolgimento ambientale che si è prodotto negli ultimi decenni. L’uso massiccio di pesticidi e fertilizzanti sintetici e l’abbandono di pratiche agricole in grado di preservare la biodiversità sono alla base dell’alterazione degli equilibri negli ecosistemi agricoli. La rottura degli equilibri si manifesta con la drastica riduzione di molte popolazioni animali che sono parte integrante degli ecosistemi agricoli: uccelli insettivori, api, farfalle, molluschi, anfibi, piccoli rettili, piccoli mammiferi.

SONO PASSATI SESSANTA ANNI da quando la biologa statunitense Rachel Carson (1907-1964) ha pubblicato Primavera silenziosa, un libro in cui si denunciavano i danni alla salute e all’ambiente provocati dal Ddt e dagli altri pesticidi chimici allora in commercio. Rachel Carson metteva in evidenza la grave contaminazione che si stava producendo nel suolo, aria, fiumi, mari, come conseguenza della guerra chimica contro i «parassiti».

Uno dei capitoli del libro è dedicato alle conseguenze che gli insetticidi hanno sulla vita degli uccelli. Viene documentato l’assalto dell’uomo all’ambiente e la scomparsa di molte specie di volatili, col risultato di far tacere le loro voci e rendere silenziosa la primavera. In quel lontano 1962 il grido di Rachel Carson sui pericoli del Ddt e dei pesticidi aveva segnato, tuttavia, una svolta e messo le basi per nuovo movimento ambientalista. Negli anni successivi il Ddt veniva messo al bando in quasi tutti i paesi, ma nuove categorie di pesticidi sono state immesse sul mercato, aggravando la crisi ambientale. La Pianura Padana è sempre stata l’osservata speciale dell’agricoltura italiana per il peso rilevante che ha in termini di produzione, ma anche per le conseguenze che le pratiche agricole hanno sull’ambiente. I terreni sono destinati prevalentemente a seminativo (mais, grano, riso, soia, barbabietola da zucchero, colture foraggere), soprattutto in funzione degli allevamenti intensivi di bovini, suini e pollame.

TRA TUTTE LE REALTÀ TERRITORIALI del nostro paese, la regione padana è quella in cui si manifestano con più evidenza gli «splendori» e le «miserie» della moderna agricoltura: rese elevate e alto impatto ambientale. Nell’area padana si impiega la maggiore quantità di fertilizzanti, insetticidi ed erbicidi per unità di superficie, nel tentativo di compensare la perdita di fertilità dei suoli e per controllare insetti ed erbe infestanti sempre più resistenti. Il risultato che si è prodotto nelle aree coltivate a seminativo è una elevata perdita di biodiversità vegetale e animale, con la scomparsa di tutti quegli ambienti che dovevano salvaguardarla. La biodiversità può essere valutata anche dalla quantità di uccelli che sono presenti su un territorio, essendo gli uccelli al vertice della catena alimentare. Non sorprende, quindi, che proprio in pianura Padana il declino delle popolazioni di uccelli raggiunga il 50%, interessando sia le specie stanziali che i migratori.

LE SPECIE PIÙ COLPITE SONO quelle che hanno un rapporto più stretto con l’agricoltura. Il massiccio uso di pesticidi è la causa principale, ma concorre anche la devastazione degli habitat in cui gli uccelli si insediano e si riproducono. Basta percorrere una delle tante strade padane che attraversano i campi per constatare la scomparsa di quegli elementi naturali che erano parte integrante del paesaggio: siepi, arbusti, cespugli, filari, boschetti. Lavorazioni meccaniche e diserbanti hanno cancellato tutto, perché ritenuto di ostacolo alle attività agricole. Il contenzioso che si è aperto in queste settimane sulla norma europea che prevede di lasciare a riposo il 4% della superficie dei terreni coltivati a seminativo, solo per le aziende che hanno una estensione superiore ai 10 ettari, la dice lunga sulla difficoltà di fare accettare la presenza di aree ecologiche per tutelare la biodiversità.

NEL 4% RIENTRANO LE FASCE TAMPONE, margini dei campi, siepi e filari, alberi isolati, sistemi idraulico-agrarie, boschetti, piccoli stagni. Si tratta di elementi che contribuiscono a conservare la biodiversità. Le siepi campestri e i cespugli, in particolare, sono parte integrante degli ecosistemi rurali, perché forniscono alimenti e rifugio agli animali insettivori che controllano le specie dannose all’agricoltura, consentono l’insediamento di colonie di impollinatori, sono zone di rifugio e nidificazione di molte specie di uccelli, rappresentano il metodo più efficace per il mantenimento di corridoi ecologici.

SONO PIÙ DI 60 LE VARIETÀ VEGETALI autoctone che costituiscono gli arbusti e i cespugli che si trovano nelle pianure e la maggior parte di essi sono fondamentali per la protezione di insetti, piccoli invertebrati, uccelli. Rivalutare questi elementi e ripristinarli nelle aree a seminativo, considerandoli serbatoi di biodiversità, non può che apportare benefici alla produzione agricola e all’ambiente.

SI È APPENA CONCLUSA LA STAGIONE venatoria. La caccia legale e il bracconaggio vanno annoverati tra i fattori che hanno contribuito massicciamente a ridurre le popolazioni di molte specie di uccelli. La cosa non sembra preoccupare il governo che sta predisponendo norme per liberalizzare la caccia, introducendo ulteriori deroghe e concessioni ai cacciatori, allungando la stagione venatoria ed eliminando le giornate di «silenzio venatorio», introducendo il divieto di creare nuove aree protette e consentendo di operare anche in zone che attualmente sono interdette. A marzo la maggior parte degli uccelli stanziali inizia la stagione riproduttiva, mentre i migratori sono già in volo per raggiungere le coste italiane. Bisogna operare a tutti i livelli, a cominciare dalla riconferma degli obiettivi del Green Deal, per impedire che le primavere diventino sempre più silenziose.