Reporter dell’MIT Technology Review, per la quale si occupa di tematiche sociali e politiche tecnologiche, Eileen Guo è stata corrispondente dalla Cina, il Centroamerica e l’Afghanistan, dove ha vissuto due anni e mezzo e ha cofondato un’organizzazione dedicata alle tecnologie civili e al giornalismo partecipativo.

Cos’è l’identity dominance e perché l’esercito Usa ha cercato di stabilirla in Afghanistan?
L’identity dominance e l’uso di dati e tecnologie biometriche ha avuto inizio in Iraq, dove un attacco a una base militare ha fatto realizzare all’esercito che non conosceva l’identità di coloro che entravano nelle proprie strutture, fra cui potevano esserci infiltrati. Da lì questo sistema è cresciuto, espandendosi anche all’Afghanistan: le forze armate non volevano più conoscere solo l’identità delle persone, ma avere la capacità di creare delle connessioni. La convinzione era di riuscire in questo modo a smantellare i network che fabbricavano bombe. Ma quando si comincia a costruire sistemi di questo tipo, si iniziano a intravedere tanti altri modi in cui è possibile utilizzarli.

E’ anche importante comprendere la differenza fra dispositivi e database.
Sono tre i dispositivi usati in Afghanistan: BAT, SEEK e HIIDE, che è quello di cui parlano tutti in questo momento. Si tratta di attrezzature molto piccole in dotazione a rami particolari dell’esercito, da usare sul campo principalmente per la raccolta di dati biometrici:hanno accesso solo a una quantità limitata di dati “grezzi” impiegati per missioni specifiche – per esempio cercare una toyota corolla bianca in un dato distretto. Perché la quantità di dati è talmente vasta, e pesante, che di volta in volta si poteva accedere solo a piccoli frammenti. Certo, magari esistono dei modi per scaricare delle informazioni cruciali da queste strumentazioni, che però sono limitate nel loro potenziale. Il vero pericolo sono i database, custoditi a Kabul, all’interno dei ministeri.

Nell’inchiesta che ha realizzato con Hikmat Noori vengono elencati un gran numero di questi database. Che minaccia rappresentano per gli afghani lasciati indietro?
Il database più grande di tutti è AABIS: non ci è dato sapere con precisione quante voci contenga, ma sulla base di quanto ci ha detto il suo project manager le persone schedate sarebbero 8,1 milioni. Parliamo del “cuore” di tutto il sistema biometrico: per qualunque cosa serva un’autorizzazione è AABIS a venire controllato: chi sei, se hai una fedina penale… Ma ci sono anche altri database, più piccoli, fra cui APPS di cui ci siamo occupati diffusamente nel corso del nostro lavoro: contiene 500.000 “schede”, di cui solo il 60% è collegata a dati biometrici. Ma il dettaglio delle informazioni che raccoglie è estremamente significativo. Per capire la ragione per cui tutto questo è così potenzialmente pericoloso basta guardare alla Storia: quando i talebani sono arrivati al potere per la prima volta sono subito andati a cercare i documenti militari rimasti nel Paese per identificare le persone che avevano sostenuto il governo.

Cosa sappiamo di come si è mosso il governo americano per proteggere queste informazioni?
Per quanto ne sappiamo potrebbero esserci dei sistemi, segreti e di cui nessuno parla, per ripulire i dati dai server. Ma sulla base di quello che ho riscontrato durante la mia ricerca ho molte domande su queste eventuali capacità.

Fra i dati raccolti ce ne sono di estremamente sensibili come quelli relativi all’etnia delle persone e ai loro familiari. Un problema strettamente connesso al fatto che quando gli Stati uniti hanno cominciato a raccogliere dati biometrici non c’erano leggi che regolavano la privacy in Afghanistan.
E’ una questione ancora aperta anche come queste leggi siano state applicate, e se ci fosse una piena comprensione di esse, dal momento in cui il Paese si è infine dotato di regolamenti sulla privacy e la cybersecurity. Durante le mie ricerche ho scoperto che c’è un grande movimento a livello internazionale contro la raccolta dei dati biometrici – ma proprio l’Afghanistan non ne era toccato: le critiche a quanto stava accadendo erano molto circoscritte. Per esempio quando i dati biometrici sono stati usati durante le elezioni del 2019: si è diffusa una preoccupazione specifica per le donne, specialmente nelle zone rurali, dove erano ostili all’idea che i loro volti venissero fotografati – ma non c’era un’opposizione al sistema biometrico in sé. Spesso la gente del posto mi diceva di ritenerlo normale: pensavano accadesse in tutti i paesi. E credo che questo illumini il successo delle organizzazioni internazionali nel far sembrare questo processo normale.