Chi va alla Biennale probabilmente vuole soprattutto seguire le novità. Eppure, ogni anno, a Venezia Classici c’è qualche restauro che vale il sacrificio d’un prezioso spettacolo. Nell’edizione 75 quelli da non mancare sono almeno tre: L’anno scorso a Marienbad film chiave di Alain Resnais del 1961, Desideri nel sole splendido dramma del 1962 del mai abbastanza rivalutato Jacques Rozier e infine, veramente imperdibile, They Live (Essi vivono) di John Carpenter.
NOè difficile fare l’elogio di Essi vivono. È un film che ha tutto per piacere. Il protagonista è John Nada (il wrestler Roddie Piper), ovvero John niente, nulla. Entra infatti città come un cowboy senza nome. Ma in più (per così dire) non ha letteralmente nulla: è senza cavallo e senza armi (troverà un fucile più tardi, e festeggerà l’acquisizione aprendo il fuoco una banca con una battuta spavalda: «sono qui per masticare gomme e prendervi a calci in culo»).

Questo linguaggio schietto percorre tutto il film, fino alla struttura sociale che vede molto schematicamente i proletari da un lato e i ricchi dall’altro, antropologicamente separati. Ed è la base del suo ribaltamento. Perché Essi vivono proprio nella sua brutale semplicità è in realtà un film assai sottile che incrocia sapientemente generi diversi permettendosi di essere al tempo stesso un film d’azione e una riflessione filosofica.
Dopo che la polizia ha messo a fuoco e fiamme (immagini che oggi sembrano documentarie) un campo di poveri cristi, Nada trova in una chiesa un paio di occhiali che gli permettono di vedere il mondo oltre il velo dell’illusione. La storia riannoda così, per magia, il filo della paranoia dell’invasione degli alieni che era stato un tema centrale della cultura americana degli anni cinquanta e che nell’Invasione degli ultracorpi di Don Siegel (anch’egli onorato a Venezia Classici) aveva trovato la sua formula più criptica e quindi più esplicita: essi sono tra noi – dove per «essi» si intende un altro non meglio identificato proprio perché chiaramente identificabile (il comunismo).

Qui, invece della piccola città americana gli alieni infiltrano la grande metropoli. Ecco che il protagonista non è la mitica classe media bianca americana degli anni cinquanta ma un sottoproletariato urbano stremato dal decennio reaganiano. Invertendo questi dati sociali, Carpenter ribalta anche la metafora della sostituzione : gli alieni non sono il simbolo di un complotto giudaico-bolscevico ma del capitalismo neoliberista.
Rivedendolo oggi quello che stupisce di più è il ritmo: autore della musica – Carpenter ha dato al film una cadenza lentissima. I titoli di coda che accompagnano l’ingresso di John sono quasi una provocazione per le platee di oggi. Per non parlare della famosissima scena della rissa tra John e il suo amico Frank. Splendida e senza fine… Ma la domanda è: perché è così lunga ? Perché quella lotta non è solo una rissa ma soprattutto un discorso. John tenta di convincere il suo amico a vedere le cose non così come appaiono, ma come sono. Frank resiste, fino all’ultimo, con tutte le sue forze.

Resiste perché l’illusione non è un semplice errore della visione ma una convinzione – in cui il desiderio è determinante. La metafora è doppia perché gli attori sono entrambi wrestler – la lotta spettacolo che, come tutti sanno, è una finzione. Tutti lo sanno, ma tutti continuano a guardare perché l’illusione seduce più della realtà. In questo Essi vivono manifesta una riflessione non banale sulla sconfitta degli anni sessanta e settanta che è anche quella del paradigma, proprio ai film impegnati, i quali si cullavano nell’idea, rivelatasi appunto illusoria, che basti svelare per convincere. Invece Nada.