Ho lasciato Venezia nel sole e sono arrivata nell’autunno romano, domani inizia la scuola, i ritmi tornano serrati, sulla disordinata scrivania in camera del mio bimbo ho trovato Sentieri di conchiglie, libriccino per le vacanze dimenticato, obbligo mio figlio a leggerlo in fretta e lui non ne ha voglia, come è arduo farsi venire la voglia di ricominciare la routine familiare… Cosa resta negli occhi, nel cuore, nelle retrovie delle sensazioni inconsce della lunga full immersion cinematografica dei giorni veneziani?

Qualche bel personaggio femminile, madri aggrappate alla vita, madri coraggio, donne esaurite piene di desideri inauditi e non esauditi, vedove in attesa dentro magioni fuori dal tempo, superstar sgolate, quarantenni sessualmente frustrate schiave di figli maschi sociopatici, madri e figlie legate a doppio filo da odii nascosti, aspettative esagerate, sempre in procinto di fuggire di casa verso concerti rock a cui non arriveranno mai, estetiste orientali senza scrupoli, ragazze talentuose in contesti castranti, sedicenti cantanti incapaci di minimi solfeggi intonati, giovani donne incinte che non sopprimono desideri sessuali per uomini appena conosciuti, femmine dentro corpi maschili, fanciulle di periferia attratte da alcolisti non dichiarati, indigene Giuliette pronte a rinunciare al proprio nome pur di coronare l’amore fino alla morte, mogli indiane che si appassionano a serialità televisive invece che ai personali guai che si specchiano sui pixel dello schermo, future agenti immobiliari momentaneamente imprigionate in acrobate lap dancers, pittrici che per eccesso d’amore ritraggono i travestimenti sensuali di mariti poco virili, figlie incestuosamente seduttive prima dell’esame del dna, artiste performer che per una volta nella vita diventano registe, adolescenti nepalesi pronte a trasformarsi in soldatesse comuniste, attrici scandinave che confessano di conoscere solo la frase «ti amo» in italiano e così, con una lettera cartacea, cambiano il corso del resto della loro vita, figure allegoriche portatrici dei tre valori fondamentali – libertà eguaglianza fratellanza – tra i capolavori del più grande museo francese, la vera moglie del politico assassinato che dichiara di non portare rancore per i mandanti dell’attentato mortale, la monaca innamorata eternamente del prete suicida pronta alla cementificazione viva (peggio delle peggiori punizioni mafiose), attrici che fanno provini in camere d’albergo all’undicesimo piano di un grattacielo vetrato, bambine che subiscono scippi e provano pena per il giovane innamorato ladro e drogato, la vecchia madre che cucina sei elaborate ricette portafortuna in ogni casa di figlio a cui fa visita, madri che si abituano a conoscere uomini invece di fidanzate se questo può portare benessere doni e denari al figlio ragazzo di strada pasoliniano nella Caracas contemporanea, nonne che hanno visto morire le figlie di aids e poi, poco dopo, pure le nipotine, procaci prostitute smaniose della polvere bianca, altre prostitute di altra nazionalità che diventano amiche di madri voyeur per caso e cuoche per devozione, tutte femmine folli.

Donne pressoché tristi, per lo più irriconosciute nelle loro doti, per di più abbandonate a se stesse. Donne come tante, donne come altre, donne che a volte non vorremmo essere, donne che a volte necessariamente siamo.
E come direbbe Scarlett O’Hara: «Dopotutto, domani è un altro giorno».