Mancano 4 anni a Milano-Cortina 2026 ma non c’è tempo da perdere: la macchina tritatutto dei grandi eventi si è messa in moto e ha già iniziato a mostrare i suoi effetti nocivi. Occorre raccogliere e dare spazio alle voci critiche che si sollevano dai territori e dagli ambienti investiti da un fenomeno che per sua stessa natura non può che lasciare tracce pesanti. Lo ha fatto sabato scorso Off Topic, laboratorio milanese che analizza e discute le crepe dei processi urbani, che con il supporto del collettivo di Ecologia Politica dell’Università Statale di Milano e Ape Milano (Associazione Proletari Escursionisti) ha chiamato a raccolta docenti universitari, ricercatori, giornalisti, alpinisti, rappresentanti di associazioni di tutela ambientale, comitati e cittadini delle valli alpine e della metropoli, all’evento «Giochi pericolosi. Milano-Cortina 2026, chi vince e chi perde». Per un’intera giornata si sono susseguiti interventi che da diversi punti di vista e secondo articolate chiavi di lettura hanno esplorato le mille e più sfumature di insostenibilità che colorano i Giochi Olimpici, sbandierati dal comitato organizzatore (la Fondazione Milano-Cortina 2026) come «le Olimpiadi più sostenibili e memorabili di sempre».

Memorabile è sicuramente la decisione di svolgere un grande evento inevitabilmente impattante in termini di emissioni come le Olimpiadi nel contesto di una crisi climatica e con l’aggravante di farlo ricadere in gran parte su territori tanto preziosi quanto fragili come quelli alpini. Una scelta priva di senso anche solo per questo motivo, accompagnata poi dal consueto corollario di speculazioni, ritardi, commissariamenti, sprechi di denaro pubblico, consumo di risorse.

MAN MANO CHE SI SUSSEGUONO gli interventi, la foto che ritrae esultanti fra gli altri il sindaco di Milano Sala, i presidenti della Regione Veneto e Lombardia Zaia e Fontana al momento dell’assegnazione appare sempre più grottesca.

Silvio La Corte, autore del libro La bolla Olimpica, inquadra storicamente le Olimpiadi come evento non desiderato: né dalle popolazioni locali, che hanno spesso protestato come a Denver o Graz, dove ottennero il ritiro della candidatura, né dalle amministrazioni, citando i casi di città che hanno rinunciato a priori, come Boston, Barcellona, Amburgo, sostanzialmente per motivi economici. Nel caso di Milano-Cortina fa notare la disonestà intellettuale di tutte le forze politiche che si guardarono bene, in occasione delle elezioni del 3-4 marzo 2018, di parlare di Olimpiadi. Il sociologo Filippo Borreani successivamente arriverà a ricordare il bagno di sangue che le Olimpiadi Invernali del 2006 abbiano rappresentato per Torino: 800 milioni di debito che hanno contribuito a renderela la città che assieme a Napoli detiene nel 2022 il record del debito più alto d’Italia. L’esperienza di Torino , dove le Olimpiadi furono funzionali a quel violento processo di industrializzazione che le fece perdere 110 mila posti di lavoro in 13 anni, si inserisce in una delle chiavi di lettura dei Grandi Eventi scelti come principale motore di sviluppo delle città come Milano, il processo che ha fra le sue conseguenze la gentrificazione, l’esclusività, l’innalzamento dei prezzi, l’indebolimento delle economie locali: un modello aggressivo non a misura di chi abita la città ma di chi la consuma, descritto ed analizzato dagli interventi del docente di Scienze economiche Stefano Lucarelli, del ricercatore presso Supsi Nicolò Cupidi, della giornalista e studiosa di politiche urbane Lucia Tozzi.

SE A CAUSA DELLE OLIMPIADI le città rischiano, figuriamoci le montagne. Luigi Casanova, presidente onorario di Mountain Wilderness fa un analisi di come, a partire dal turismo, l’uomo abbia annullato i limiti e la fatica che il loro rispetto impone. Il turismo quello buono, inteso come ospitalità, è quasi sparito, prevale quello dei numeri, dell’assalto, tra seconde case per villeggiare, strade per andare sempre più veloci, accessi per andare sempre più in alto, impianti che arrivano fino dentro le aree protette. Grandi eventi come le Olimpiadi, dice, sono il simbolo della montagna addomesticata alla cultura urbana. Mountain Wilderness è una delle associazioni ambientaliste che più si sta spendendo per denunciare e fermare gli scempi di Milano-Cortina 2026, quindi accompagna questa diagnosi lucida e spietata a un invito all’azione sugli obiettivi che si possono ancora raggiungere e a tornare a fare politica in montagna per la montagna.

ALTRETTANTO IMPIETOSO È IL QUADRO delineato dal responsabile scientifico del Servizio Glaciologico Riccardo Scotti, che elimina qualsiasi dubbio, qualora ce ne fossero ancora, sul fatto che l’uomo ha invertito la rotta del clima del pianeta; per capire la gravità del problema climatico in alta montagna, basta citare anche solo una parte dei dati chiari e lampanti forniti dal glaciologo: negli ultimi anni il bilancio di massa dei ghiacciai è stato sempre negativo, e se negli ultimi 13 anni si sono persi in media 7 metri di ghiaccio, nel solo 2022 se ne sono persi 5. Il 2022 è stato un anno dove si è registrata il 70% di neve in meno: una anomalia mai vista, completamente fuori scala. «Abbiamo perso gli aggettivi per descrivere questi fenomeni». Gli scenari futuri, dice, sono ancora nelle nostre mani, ma scordiamoci di abbassare queste temperature, tutto dipende da quanto riusciamo a contenere l’aumento. I ghiacciai che stanno al di sotto dei 3 mila metri continueranno ad arretrare, perché a determinate quote non ci sono più le condizioni per la loro esistenza. «Adattamento o accanimento?» lascia il tavolo degli interventi con questa domanda a cui in parte risponde l’ecologa dell’acqua Silvana Galassi, descrivendo gli impatti di quella che è ormai una attività indispensabile per lo svolgimento degli eventi sportivi e del turismo invernale: la produzione di neve artificiale. Ciò che inizialmente doveva servire solo per compensare alcune debolezze dell’innevamento naturale, sta diventando prassi. Basti pensare che a Cortina nel 1995 l’innevamento artificiale era predisposto solo su due piste mentre ora ci sono 4500 cannoni sparaneve. Per non rimanere senza neve anche in visione delle Olimpiadi, si sta pensando di aumentare la capacità dei bacini di accumulo dell’acqua necessaria per creare la neve: nella sola Lombardia si passerebbe dagli attuali 13 mila metri cubi a 93 mila metri cubi.

UN ALTRO TEMA CRITICO è quello del consumo di suolo; Paolo Pileri, docente di pianificazione e progettazione urbana al Politecnico di Milano, sottolinea la carenza di informazioni sull’impronta al suolo delle opere previste per le Olimpiadi, sia quelle dirette che quelle accessorie. «Quanti ettari e dove? Cerco da tempo e non ho trovato nulla». Una lacuna grave tenendo conto del fatto che nell’ultimo anno il consumo di suolo in Italia si è impennato al 22% con Lombardia e Veneto in testa per tasso di cementificazione.

Direttamente dai territori montani arrivano le denunce di opere che sono l’emblema delle «Olimpiadi come pretesto»: imposte, inutili, costose, fortemente impattanti. I comitati di Alta Valtellina portano il caso della Tangenziale di Bormio che deturperà l’ultima piana naturale rimasta, la sindaca di Montagna in Valtellina Barbara Baldini racconta della sua lotta contro un’altra tangenziale che taglierà in due il suo Cinale Roberta de Zanna parla a nome dei tanti, la maggioranza, cittadini di Cortina d’Ampezzo che, memori dei recenti Mondiali di sci, non volevano queste Olimpiadi calate dall’alto e sono fortemente preoccupati per l’ulteriore sacco del territorio. In cima all’elenco delle opere previste, svetta l’assurda nuova pista da bob: nonostante i costi continuino a lievitare (ultima stima 85 milioni di euro) e i tempi per la sua realizzazione ad accorciarsi, il progetto non è stato ancora abbandonato. Su queste ed altre questioni la promessa di tutti è quella di continuare a dare battaglia insieme.