La follia galoppante della leadership israeliana riguardo a Gerusalemme riflette forse meglio di ogni altra cosa la costernazione e la mancanza di orizzonte da parte di un governo che riesce solo a pensare nei termini di un’ideologia fondamentalista di estrema destra. Adesso annunciano una serie di passi «contro il terrore» che in fondo sono opposti rispetto alle consegne centrali della politica ufficiale israeliana quanto alla città «eternamente unificata».

Nel tardo pomeriggio di domenica scorsa, un altro attacco si è aggiunto alla lunga lista delle ultime due settimane. Teatro, stavolta, la stazione centrale dei pullman di Beer Sheva, nel sud del paese. Le prime notizie e immagini parlano di terroristi. Grazie a ciò, sulle tre catene televisive nazionali si susseguono gli «esperti» di questioni militari. Essi annunciano sapientemente che l’attacco segna l’avvio di una nuova fase, la quale richiede organizzazione e coordinamento, oltre ad armi da fuoco. Il sapere degli esperti sembrava del tutto pertinente, mi ha molto colpito.

Come tutti gli israeliani, per giorni sono rimasto attaccato alla televisione. Dalle scoperte che si sono via via succedute è diventato evidente che gli esperti non lo erano poi così tanto. Uno degli aggressori – un israeliano di origine beduina – ha attaccato e ucciso un soldato con un coltello e una pistola. Si è poi impadronito del suo fucile, con il quale ha continuato a sparare ferendo diverse persone. Il secondo «terrorista» era un eritreo o sudanese, per sua sfortuna: il colore della pelle gli è stato fatale. E’ stato neutralizzato dai tiri molto precisi di un poliziotto; una volta a terra, alcuni picchiatori fascisti, che non mancano mai, lo hanno praticamente linciato e ucciso. E’ poi risultato che egli era uno dei passeggeri atterriti in fuga; non si trattava affatto di un terrorista.

Ma la paura e l’isteria rimangono e il governo deve «fare qualcosa».

Veramente c’è chi sa che non si arriva da nessuna parte seguendo i dettami della destra annessionista, quella che pensa di poter mantenere i territori occupati nel 1967 e che una mandria di palestinesi obbedienti, senza alcun diritto riconosciuto, possa allegramente accettare la situazione.

In passato, da oppositore, l’attuale primo ministro Netanyahu si precipitava ovunque fossero avvenuti attacchi contro israeliani; le macchie di sangue sulla strada e possibilmente la presenza di qualche cadavere pietosamente coperto erano il contesto ideale per il grande avversario del governo di turno. Egli si mostrava pieno di orrore per la nuova tragedia, che imputava sempre al governo; colpa di Rabin, colpa di Peres, la colpa era sempre del governo israeliano, per non essere sufficientemente violento o per aver avviato gli accordi di Oslo.

Netanyahu vinse nel 1996, di misura, fondamentalmente grazie al motto «Peres dividerà Gerusalemme, Bibi è il miglior difensore degli ebrei». Cioè, come ha ripetuto migliaia di volte, Bibi è l’unico che può darci sicurezza e tenere a bada i nostri odiati e terribili nemici. Bibi adesso non si reca più sui luoghi del sangue sparso. Lui e i suoi complici ci fanno ascoltare ogni giorno la stessa solfa: «Il terrore ci accompagna da cento anni a questa parte; i palestinesi vogliono liquidarci, non accettano la nostra esistenza come nazione…», ecc. Dunque, per fortuna, adesso il terrore è colpa unicamente dei palestinesi, bisogna solo trovare la soluzione su quel lato…

La città eternamente unificata, sta attraversando un rapido processo di divisione fisica, che rende la vita dei palestinesi sempre più difficile.

Non è questa la soluzione che in molti proponevamo, sin dal 1967: una divisione tale da riconoscere i diritti nazionali dei due popoli, una città di uguali dalla sovranità condivisa!

Adesso si tratta di convertire le aree palestinesi della città in ghetti controllati dalle forze di polizia e dall’esercito. Così, gli imbecilli esperti creeranno più odio, più repressione, più disperazione; e il circolo vizioso dell’occupazione e dell’insurrezione mieteranno altre vittime. Le «forze dell’ordine» israeliane stanno agendo con indescrivibile violenza, mentre le orde dell’estrema destra diventano sempre più crudeli.

I palestinesi, o gli israeliani di Gerusalemme o dei Territori occupati che devono spostarsi per andare a lavorare, lo fanno con grande timore, oppure rimangono a casa.

Ovviamente, ci sono sempre gli Stati uniti. Questa settimana il «grande» primo ministro Netanyahu andrà in Germania, dove probabilmente riuscirà a incontrare il “babbo” John Kerry.

Quale potrebbe essere il risultato? Mi calo anch’io nei panni dell’esperto: non si può accendere il fuoco solo con parole vuote di contenuto reale.

L’odio e la frustrazione di giovani trattati come bestie continueranno a essere alimentati dal progetto criminale del fondamentalismo israeliano che pretende di perpetuare la situazione attuale: la condizione di quattro, cinque milioni di palestinesi oppressi e privi di qualunque diritto.