Il Giudizio terreno sul “Santo Subito”. Non basta la morte del papa emerito per fermare il procedimento penale a carico dell’imputato Joseph Aloisius Ratzinger, accusato di non avere rimosso dalla sua diocesi, quando era arcivescovo di Monaco, il prete pedofilo Peter H. già condannato per abusi.

Lo ha ribadito il Tribunale di Traunstein, in Baviera, precisando come il processo che coinvolge Benedetto XVI prosegua indipendentemente dal suo decesso. Del resto, la presenza fisica non era necessaria neppure prima dato che «Ratzinger era rappresentato da un mandatario», specificano i giudici. Pronti a tradurre la sua ascesa in cielo in punta di diritto: «L’imputato sarà sostituito dal suo successore legale».

Chi è? Francesco Bergoglio. Almeno a sentire Andreas Schulz, l’avvocato che rappresenta Andreas Perr, 38 anni, vittima degli abusi del sacerdote a cui negli Anni Novanta venne affidata la parrocchia di Garching an der Alz (Alta Baviera).
«Ora papa Francesco deve decidere se nascondersi dietro l’immunità o convalidare la ricerca della verità. Il pontefice ha finalmente l’opportunità di aprire gli archivi vaticani facendosi garante della massima trasparenza della Chiesa».

In particolare le carte romane potrebbero spiegare come mai l’Arcidiocesi di Monaco rinnovò gli incarichi pastorali di Peter H. nonostante il suo noto passato di «pedocriminale» (così ufficialmente negli atti). In parallelo l’avvocato Schulz si augura che dal Vaticano possa giungere la lista con i nomi di tutti i responsabili del doppio insabbiamento: degli abusi e del colpevole.

Finito sotto i riflettori negli Anni Settanta dopo le prime violenze sui giovani della sua parrocchia, il prete bavarese era diventato uno scandalo internazionale dopo la denuncia del «New York Times» nel 2010. Impossibile, dunque, per l’Arcidiocesi di Monaco non essere a conoscenza dei suoi crimini.

Per Andreas Perr la cortina fumogena del clero su Peter H. è coincisa con la devastazione della vita: tossicodipendenza, piccoli reati, e infine la detenzione in carcere, dopo essersi allontanato dalla famiglia che lo aveva accusato di mentire sugli abusi.
Ieri violenze incredibili, oggi verità innegabili dalla Chiesa tedesca. Eppure all’epoca la soluzione delle alte porpore fu il trasferimento del prete da una parrocchia all’altra, dalla lontana Essen alle altrettanto nascoste montagne della Baviera. Allora l’arcivescovo responsabile era Ratzinger.
Oltre al papa emerito sul banco degli imputati della Corte di Traunstein spicca il cardinale Friedrich Wetter, anche lui trascinato alla sbarra per «risarcire il danno subito» da Perr trent’anni fa.

Fin qui l’abisso della pedofilia. Ma il problema tedesco per papa Francesco non è solo la successione penale immaginata dall’avvocato Schulz: da anni la Curia romana spegne regolarmente qualunque richiesta di riforma della Conferenza episcopale tedesca nel nome dell’unità del cattolicesimo. Nella pratica il Cammino sinodale in Germania si scontra con la via a senso unico indicata dal Vaticano su ruolo delle donne, celibato, ammissione ai sacramenti della galassia Lgbt e decine di altri temi non più rubricabili come secondari.

Sotto questo profilo Francesco non intende spalancare le porte alla rivoluzione chiesta a Monaco che avvicinerebbe (pericolosamente) il rito dei cattolici tedeschi a quello dei connazionali protestanti. C’era anche questo – fra le righe – nella lettera di dimissioni del cardinale Marx, arcivescovo di Monaco, respinte da papa Francesco nel 2021.