C’era una volta una Berlino non più così povera ma ancora sexy, centro della contro cultura occidentale e dei femminismi intersezionali, dell’esplicito decolonialismo anche istituzionale, magnete per artisti e lavoratori della cultura da tutto il mondo che nonostante l’imperante gentrificazione riuscivano a vivere decentemente, ad ottenere ateliers a cifre calmierate, ad avere accesso a fondi e sostegni per la realizzazione di mostre, progetti individuali, collaborazioni, progetti di ricerca, e per la promozione del proprio lavoro in ambiti sia istituzionali che indipendenti come i famigerati project spaces. Tutti sostenuti nelle loro mansioni da fondi pubblici, artiste, curatori, critici, project managers, direttrici, Gallery weekends.

Prime cancellazioni

Arriviamo al 7 Ottobre 2023 e ad una velocità imprevista questo famigerato apparato comincia a sgretolarsi in nome di regole sull’antisemitismo improvvisamente invalidanti applicate senza confronti e spesso senza specifica cognizione di causa, dando il via ad una carrellata ad effetto domino di cancellazioni di artisti, mostre ed intellettuali, inaugurata il 13 Ottobre con la cancellazione del conferimento di un premio ad Adania Shibli, scrittrice palestinese, alla «Frankfürther Buch Messe». Questo nonostante episodi di razzismo di matrice nazista non siano mai mancati nella storia recente del paese e continuino ad essere ritenuti episodi marginali.

All’inizio di novembre l’intero comitato di selezione di Documenta si è dimesso, a cominciare dall’artista e filosofa israeliana Bracha L. Ettinger e dal poeta e critico indiano Ranjit Hoskote, quest’ultimo indotto alle dimissioni da una campagna mediatica locale infangante con accuse di antisemitismo. Gli altri quattro membri del comitato di selezione hanno fatto altrettanto poco dopo, affermando che «nelle attuali circostanze non crediamo che ci sia spazio in Germania per uno scambio aperto di idee e per lo sviluppo di approcci artistici complessi e diversificati che artisti e i curatori meritano».

Documenta è la manifestazione d’arte più prestigiosa al mondo con un budget statale di decine di milioni di euro. Il 13 novembre la mostra sull’afro futurismo contemporaneo We ist Future (Noi Siamo il Futuro) al Museum Folkwang, un importante museo di Essen, è stata cancellata accusando il curatore haitiano Anaïs Duplan di antisemitismo sulla base di un suo post su Instagram che descriveva la rappresaglia israeliana a Gaza come un genocidio. Una settimana dopo, la «Biennale für aktuelle Fotografie» che avrebbe dovuto svolgersi quest’anno in tre diverse città tedesche è stata anche cancellata sulla base di accuse di antisemitismo verso uno dei curatori Shahidul Alam originario del Bangladesh, per dei post online.

Candice Breitz

In un comunicato stampa il consiglio d’amministrazione della fondazione Saarland Cultural Heritage, organo di un’importante museo della regione del Saarland che aveva in programma una personale dell’artista sudafricana ebrea Candice Breitz, ha dichiarato che non avrebbe fornito una piattaforma per artisti «che non riconoscono il terrore di Hamas come una violazione della civiltà o che consapevolmente o inconsciamente offuscano la distinzione tra azioni legittime e illegittime». Il termine zivilisationsbruch («violazione della civiltà»), utilizzato dal consiglio, è solitamente usato negli studi sull’Olocausto e nelle borse di studio tedesche riguardanti la memoria storica come riferimento all’Olocausto.

Breitz, la cui mostra era organizzata già da due anni e i cui lavori non vertono sul tema, è stata messa nella condizione di dover esprimere l’equivalenza tra l’attacco di Hamas e l’Olocausto come monito per esporre il suo lavoro. Un’istituzione tedesca si è arrogata il diritto di imporre ad un’artista donna ebrea dissenziente e femminista cosa dovesse pensare e come si dovesse esprimere per poter fare ammenda, nella migliore pratica di un nazional denken verboten. La personale dell’artista palestinese Jumana Manna alla «Heidelberger Kunstverein» è stata anche cancellata a causa di una campagna di diffamazione. Masha Gessen, rinomata scrittrice ed intellettuale ebrea di origini ucraine, si è anche trovata al centro di un campagna mediatica con pesanti accuse di antisemitismo, appena in procinto di ricevere il prestigioso ‘Premio Hanna Arendt’, che ha provocato il passo indietro del comune di Bremen e della Stiftung Heinrich Böll dal sostenere la premiazione. La stessa fondazione Böll ha cancellato la conferenza «Femminist Voices Connected» a causa della situazione a Gaza e della «atmosfera polarizzata in Germania».

Molte di queste vicende sono accuratamente raccolte in siti e account di Instagram organizzati a seguito di questa svolta improvvisa quanto nefasta della politica culturale tedesca, qui l’esempio degli archiveofsilence.

Centro culturale Oyoun

Il caso emblematico che segna un momento di non ritorno nell’inasprimento delle regole calate dall’alto è quello del centro culturale Oyoun dedicato all’arte intersezionale e alle prospettive decoloniali, con particolare attenzione all’arte queer, femminista e dei migranti. Il comune di Berlino, nella figura dell’assessore al Senatsverwaltung für Kultur und Gesellschaftlichen (Assessorato alla cultura e agli affari sociali) Joe Chialo (CDU) su richiesta della rappresentante di zona Susanna Kahlefeld (Grün) a metà Novembre ha improvvisamente cancellato i fondi statali e comunali per il centro, da poco riconfermati per il periodo 2023/2026, con la motivazione di ‘presunto antisemitismo’. La letterale motivazione è fondata sul fatto che il centro aveva in programma la celebrazione del ventennale dell’organizzazione ebraica «Jüdische Stimme für gerechten Frieden im Nahen Osten», e alla richiesta dell’assessorato di cancellare l’evento, per un ‘ritenuto presunto antisemitismo’ dell’organizzazione ebraica per la giusta pace in Medio Oriente, il collettivo di Oyoun si sia rifiutato.

L’evento si è poi tenuto con larga partecipazione della cittadinanza che ha dato adito ad una forte e plurale campagna di resistenza e di contro narrazioni che usa Instagram come piattaforma immediata di risonanza, esattamente come le giornaliste e attiviste che informano da Gaza. Oyoun aveva sede in uno stabile di proprietà del comune sito a Neukölln, il quartiere a più alta densità di immigrazione araba, palestinese e queer; nel centro lavoravano persone per lo più originarie del sud globale che con la perdita dell’impiego sono a rischio di perdere i permessi di soggiorno e nei casi particolarmente aspri anche di deportazione. Da Ottobre il quartiere è territorio di un crescendo esponenziale di repressione da parte delle forze dell’ordine, che ripetutamente fermano e perquisiscono persone che portano la kefiah, effettuando anche retate come al Cafè Karanfil, un piccolo bar dove si ritrovano immigrati ed attivisti, ed al centro di attiviste femministe antifasciste «Zora junge Frauenorganisation». Fino ad arrivare a transennare gran parte della Sonnenalle il 31 Dicembre scorso con check points di controllo per la circolazione come se si fosse nei territori occupati o ai tempi del muro.

I bandi

La resistenza culturale e mediatica in Germania, organizzata in maggioranza da stranieri e straniere, ha al centro le ufficiali e contrastanti definizioni di antisemitismo, la solidarietà con la Palestina, la difesa dal massacro in corso a Gaza e dall’occupazione israeliana, ed in casa la difesa del diritto a manifestare e dissentire come la difesa della libertà di parola. Non ultima la difesa della libertà d’espressione artistica di recente sotto attacco del Senato che, sempre nella figura dell’assessore Joe Chialo, ha introdotto con il nuovo anno una clausola secondo cui per poter accedere a qualsiasi bando pubblico riguardante arte e cultura a Berlino si è automaticamente obbligati alla controversa accettazione della definizione di antisemitismo della IHRA. Una conditio sine qua non imposta senza alcuna proposta di confronto o discussione, come fossimo in un regime totalitario.

Boicottaggio

Allo stesso tempo, sempre più figure pubbliche straniere eludono gli inviti e i finanziamenti della Germania, in segno di protesta contro le sue attuali politiche. La più recente e conclamato segno di rifiuto è quello di Laurie Anderson che ha cancellato una professorship da tenere alla Folkwang Universität der Künste nel prossimo semestre.

Il movimento della contro informazione e la contro narrazione si coordina sempre più a livello internazionalista lanciando in simultanea campagne di resistenza e boicottaggio, i canali tedeschi da seguire su Instagram sono, tra gli altri, @juedischestimme, @ceasefireactioncommittee @gegen_kulturzensur @pa_allies e per del sano quotidiano sarcasmo @berlinisover e @berlinonacid.

Strike Germany

Da poco formatosi a seguito del continuo inasprimento della situazione il gruppo che ha lanciato la campagna strikegermany.org per boicottare qualsiasi futura partecipazione alla vita culturale ed artistica tedesca, finché i termini della ragione di stato produrranno pubblica censura, repressione e divieti di qualsiasi solidarietà con Gaza e la Palestina in ambiti istituzionali.

La ragione di stato tedesca che difende a priori senza se e senza ma lo stato d’Israele ed il suo operato è definita, dall’autrice ebrea nordamericana Naomi Klein in un recente incontro a sostegno di Oyoun, sulla cultura della memoria in Germania a confronto con la definizione dell’antisemitismo nella cultura giudaica contemporanea, come prigioniera di una visione congelata ed astratta dell’Olocausto che lo solleva da qualsiasi lettura critica immanente, storica e politica del colonialismo dentro e fuori il mondo occidentale.

Questa astrazione confeziona un senso di colpa nazionale infrangibile che non è in grado di far spazio al confronto con la realtà, alla abilità di rispondere all’agghiacciante massacro in corso, e coadiuva un’assenza di responsabilità sia soggettiva che nazionale, di fatto mettendo a rischio la sicurezza delle persone ebree e mussulmane. Un vuoto di responsabilità in cui si espande il terreno di scontro attivamente coltivato dalla Alt right internazionale, dalla destra centrista e dalla ultra destra tedesca per disciplinare e criminalizzare entrambi i gruppi semiti e i loro alleati a sinistra. «Oyoun impersona un’altra storia del modernismo che questiona la narrazione dominante inscritta nelle fondamenta dell ’Europa cristiana e della Germania protestante» ricorda infine Klein.
È evidente che le politiche culturali e le separazioni di classe ed origine sono il principale terreno di scontro e di repressione censoria in Germania come negli USA e presto nel resto d’Europa.

Alla celebrata manifestazione contro la Afd davanti al Bundestag indetta da Fridays for Future Berlin, i manifestanti pro Palestina sono stati cacciati via malamente, impedendogli di partecipare e lasciando che i celerini li circondassero per dividerli dai manifestanti tedeschi in maggioranza bianchi. La tanto timorata ascesa della Afd non potrà certo essere contrastata da un opposizione selettiva che non sappia includere tutti. Non sarà un caso che la ministra della cultura tedesca Claudia Roth (Grün) voglia incrementare gli scambi e coordinarsi a livello europeo con il ministro della cultura italiano e con gli omonimi polacchi e francesi come recentemente annunciato. È necessario prestare attenzione ai termini internazionali di queste collaborazioni tra le massime istituzioni culturali che non verteranno solo su temi di sostenibilità ambientale, ma anche su politiche culturali comunitarie, rimarrà da appurare se seguiranno l’esempio delle strategie repressive in corso in Germania. Se come lo descrisse Aimé Césaire l’Olocausto fu un operazione di colonialismo interno all’Europa è bene definire da subito le caratteristiche anticoloniali dell’opposizione all’avanzare delle destre.