Applicare le regole “in modo effettivo” ma “facendo pieno uso della flessibilità consentita dalle regole”.  Il nuovo commissario agli Affari economici della Ue Paolo Gentilonisi presenta così, in una relazione di nove paginette, al Parlamento europeo e fa sperare il governo italiano. Gentiloni sottolinea infatti la necessità di rispettare il Patto di stabilità ma insiste sulla “appropriata flessibilità” aprendo così più di uno spiraglio sulla possibilità di fissare il deficit, nella Nadef che verrà portata al Cdm lunedì prossimo, al 2,2%. Sarebbero 11 mld e definirli preziosi è poco. Roma ritiene inoltre di poter ottenere la Green Rule, richiesta dal ministro dello Sviluppo Fraccaro, la possibilità di scomputare le spese per gli investimenti ecologici dal calcolo del rapporto deficit/Pil. Se verrà concessa, come è facile, senza troppi paletti, come è meno facile, sarà un aiuto anche più utile della flessibilità.

Il governo ritiene di aver già trovato 25 mld sui circa 32 che saranno necessari per la manovra, ma è un conto che si basa in parte sulla scommessa di recuperare circa 3 mld e mezzo dalla lotta all’evasione e in parte sulla voce vaga per definizione “Spending Review”. Il capitolo più confusa riguarda il grosso della manovra, cioè la sterilizzazione dell’aumento dell’Iva. Il ministro dell’Economia Gualtieri punta al riordino, cioè a una revisione  delle aliquote prodotto per prodotto. E’ una misura necessaria per colmare numerose clamorose ingiustizie, che di solito penalizzano i consumi della fasce più povere, ma è anche una misura che richiederebbe tempo per essere messa a punto con la necessaria cura e che rischia di nascondere quell’aumento selettivo dell’Iva che a parole è rigorosamente escluso. Ma se il riordino finisse per portare parecchi mld nelle casse dello Stato sarebbe difficile negare che qualche aumento c’è e il costo politico dell’operazione sarebbe almeno per una parte della maggioranza, Renzi e Di Maio, forse proibitivo.

L’altra voce incandescente è l’intervento sul cuneo fiscale. Se sarà fatto come da annunci costerà 5 mld e porterà nelle buste paga 1500 euro, probabilmente tutte insieme a metà anno. Per il ministero di via XX settembre sono troppi. L’ipotesi su cui si lavora, già sperimentata l’anno scorso con il Reddito, è quella di far partire la riforma da giugno, in modo da dimezzare i costi, almeno nel 2020. L’intervento centrato sul vantaggio per i lavoratori rende però difficilissimo partire già l’anno prossimo col salario minimo, di cui Di Maio continua però a parlare. Per farlo accettare alle aziende sarebbe necessario un ulteriore intervento sul cuneo, stavolta a favore delle aziende, e per il momento un passo del genere è fuori discussione.

Ci sono in sospeso lee richieste dei ministeri. Per l’Istruzione Fioramonti chiede 3 mld e minaccia di dimettersi se non arriveranno. Per la Sanità Speranza ne reclama 2. Forse le due richieste non saranno pienamente accolte. Ma qualcosa per scuola e sanità Gualtieri dovrà trovare.