Martedì 18 pescatori sono stati uccisi nel porto yemenita di Khokha (90 chilometri a sud di Hodeidah) dal fuoco sparato da una fregata di stanza sul Mar Rosso. I ribelli Houthi, che da Khokha sono stati cacciati a dicembre, accusano la coalizione a guida saudita che da parte sua nega ma annuncia anche l’apertura di un’inchiesta.

Il porto è oggi controllato dalle truppe degli Emirati arabi, presenti soprattutto nel sud del paese e alleate dei movimenti secessionisti meridionali. Le famiglie delle 18 vittime hanno detto alla Reuters che solo uno dei pescatori che si trovava a bordo del piccolo peschereccio colpito è sopravvissuto.

Lo scorso 4 agosto, a seguito di una strage simile (oltre 60 uccisi da un raid saudita nel porto di Hodeidah), su queste pagine avevamo ripercorso la situazione del settore della pesca in Yemen, devastato da tre anni e mezzo di guerra: dal marzo 2015, inizio dell’offensiva di Riyadh, oltre 250 barche sono state distrutte, oltre 170 pescatori sono stati uccisi e quasi 500 arrestati. Le perdite totali ammontano a 4,5 miliardi di dollari, con 37mila i pescatori che hanno perso il lavoro.

Tra le bombe a disposizione di Riyadh ci sono anche quelle prodotte in Sardegna dalla tedesca Rwm. Ieri Roma è stata teatro del sit-in di manifestanti sardi e associazioni (Sardegna Pulita, Cobas, Cagliari Social Forum) che, di fronte all’ambasciata saudita, hanno chiesto al governo di «fermare il traffico di armamenti dalla Sardegna verso l’Arabia saudita». «Non è dignitoso che dei lavoratori sardi siano costretti a fabbricare bombe che l’Arabia saudita usa per sterminare la popolazione yemenita», dice il presidente di Sardegna Pulita, Angelo Cremone.