Editoriale

Frutti avvelenati

L’Aventino della destra ha un obiettivo molto semplice: togliere al Capo dello stato, in caso di crisi di governo, la possibilità di chiamare il parlamento a esplorare l’esistenza di un’altra […]

Pubblicato circa 11 anni faEdizione del 27 settembre 2013

L’Aventino della destra ha un obiettivo molto semplice: togliere al Capo dello stato, in caso di crisi di governo, la possibilità di chiamare il parlamento a esplorare l’esistenza di un’altra maggioranza come prevede e stabilisce la Costituzione.
Non sono infatti i ministri a dare le dimissioni, ma i parlamentari a prometterle. Una mossa inedita e disperata, «un fatto istituzionalmente inquietante… che produrrebbe l’effetto di colpire alla radice la funzionalità delle Camere», come ha ben compreso il Capo dello stato, che infatti reagisce duramente ricordando che «non meno inquietante» è la pressione che in questo modo si vorrebbe esercitare per arrivare «allo scioglimento delle Camere». Le sentenze, torna ancora a ripetere il Presidente della repubblica, in uno stato di diritto «si applicano». E il presidente del consiglio, inseguito dal fantasma di Jo Condor, serra i ranghi e chiede un chiarimento in parlamento.
Ma gli effetti perversi e «inquietanti» della mossa estremista di Berlusconi sono già abbastanza chiari e originano dalla eccezionale torsione impressa al quadro politico proprio da chi ha creduto che un’alleanza di governo con un eversore in doppiopetto potesse disinnescarlo e tamponare le falle di un sistema allo sbando da ogni punto di vista (costituzionale, politico, sociale, economico).
Chi ha immaginato che il grumo del ventennio berlusconiano potesse essere arginato da un confronto diretto tra Napolitano e Berlusconi ha drammaticamente sottovalutato la natura sfascista di un partito nato e cresciuto in conflitto con poteri costituzionali (legislativo, esecutivo, giudiziario). Chi ha pensato che la sorda lontananza tra i partiti e gli elettori potesse essere colmata senza promuovere e riconoscere un protagonismo sociale (e il nostro paese per fortuna ne è ricco) capace di riaprire i canali ostruiti di un assetto democratico debole, svuotato, narcotizzato ha sottovalutato la frattura crescente tra una classe dirigente asserragliata nel bunker dei propri privilegi e una maggioranza dei cittadini impauriti del futuro.
Siamo a un giro di boa, con l’uomo ancora potente che prende il sopravvento sul politico al tappeto, convinto che falsificando i dati di realtà («la sinistra è criminale», «la democrazia non c’è più», «la magistratura è eversiva»), la sua carriera fuorilegge, la sua figura deformante potrà mimetizzarsi e sfuggire al giudizio finale anche dei suoi stessi elettori. Ma il marketing che in tempo di “pace” è stato capace di affascinare i berlusconiani e gli arcoriani di complemento (una parte della sinistra politica e televisiva), oggi, nel tempo delle sentenze e dell’elmetto, fa paura anche ai sodali della prima ora che invano consigliano a Berlusconi di prendere atto della realtà, di dimettersi, rassegnarsi agli arresti domiciliari e liberare la strada al governo.
Anche per questo chi scenderà in piazza il 12 ottobre vede se possibile rafforzato il compito di difendere i diritti tutelati dalla Costituzione (a cominciare da quelli del lavoro). L’iniziativa, aperta e indipendente dai partiti, chiede di tornare con i piedi nella società, invita cittadini e associazioni a una partecipazione larga, oltre i confini della sinistra. La migliore garanzia di una tenuta democratica.

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