L’infanzia libera nelle campagne di Pianoro, Bologna: per Franco Grillini tutto è iniziato da lì. Classe 1955, figlio di contadini operai, militante da giovanissimo del movimento studentesco bolognese, candidato del PCI; tra i fondatori del Cassero di Porta Saragozza, di Arci Gay e della LILA Lega Italiana contro la Lotta all’Aids. Una vita di militanza gay, attraversando legislature, apparizioni televisive, pride nazionali e mondiali, la malattia che l’aveva visto quasi spacciato. Dimensione pubblica e privata si sovrappongono poeticamente in Let’s Kiss – Franco Grillini, storia di una rivoluzione gentile di Filippo Vendemmiati: non il classico biopic ma percorso intimo, a ritroso, nei luoghi emblematici della vita di Franco Grillini, e al contempo politico, attraverso il racconto delle primissime lotte per i diritti civili in un’Italia sessuofobica e conservatrice che spesso le nuove generazioni ignorano. In occasione della presentazione napoletana di Let’s kiss (3 marzo, nell’ambito della rassegna Astra Doc, sarà presente Grillini. Prossime date 14 marzo Bologna, 17 aprile New York), abbiamo raggiunto autore e protagonista.

Vendemmiati, come nasce il film?

Con Franco abbiamo in comune anni di militanza. Come autore non pratico la «giusta distanza», ho bisogno di una vicinanza forte con la persona o la storia di cui mi occupo. Franco si è aperto con una fiducia non dovuta, penso che si percepisca nel film e che sia uno dei suoi valori. Tanti, a vederlo, si sono emozionati: ci sono situazioni e percorsi comuni, anche riguardo al coming out. Ho scelto episodi emblematici della sua formazione, delle sue battaglie. La base del film è una lunga chiacchierata in poltrona, 25 ore di girato.

Nel documentario c’è molto materiale di repertorio, come l’hai usato?

Franco nella sua vita è stato invitato a decine di trasmissioni televisive, ci sono molti materiali dei suoi interventi pubblici, dibattiti, talk show. Non volevo fare una ricostruzione filologia o storica, mi serviva trovare quei passaggi che fossero funzionali al racconto, illustrativi di come l’Italia è cambiata negli anni.

Grillini, nel film sottolinei l’importanza di far coincidere vita pubblica e privata. Che valore hanno avuto le tue apparizioni pubbliche?

Le ho sempre usate strategicamente. In Italia non ci sono «città rifugio» come in Francia, America, dove la concentrazione della comunità Lgbt ha favorito politicamente l’avanzata del movimento. Era ed è una comunità polverizzata. L’unico strumento per parlare a tutti era la tv. Prima dell’Aids, le uniche notizie che davano su di noi erano di natura criminale. Per anni, questa pandemia l’abbiamo gestita noi. Lo Stato aveva rinunciato a intervenire, si moriva e basta. Ci trattavano politicamente come degli appestati. Occorreva perciò occupare il massimo della comunicazione. Accettavo di fare qualsiasi intervista, quando nell’88 feci 6 minuti da Biagi c’erano 10 milioni di persone a guardarmi.

Perché definisci la tua rivoluzione «gentile»?

Tuttora esiste un pezzo del genere umano, che non è la maggioranza, che pretende di dominare il mondo con un’idea tossica di mascolinità che l’omosessualità mette in crisi. Ma non è vero che non è cambiato nulla. Bisognerebbe ricordarsi com’era prima. Noi «rivoluzionari» dei ’70 non abbiamo vinto la rivoluzione politica, ma quella culturale sì. Il cambiamento è avvenuto a livello molecolare, grazie alle singole persone, al concetto di vicinanza diretta di gente che si era dichiarata e, facendolo, ha cambiato il mondo. Oggi milioni di persone scendono in strada per il pride: una manifestazione di popolo, una battaglia condivisa da tutti.

Pensi che Elly Schlein possa continuare questa rivoluzione?

Con Elly c’è un rapporto di «sorellanza», ci conosciamo da una vita. Quello che m’interessa, al di là della carica di potere, è l’idea che per la prima volta che una donna come lei possa fare il segretario di un partito come il PD. C’è un vasto consenso a sinistra rispetto a questo tipo di figura, se ne sentiva il bisogno. È arrivata lei: ne sono felice. Ora speriamo che il partito le vada dietro unito. È come l’idea alla base del film: le rivoluzioni che cambiano il modo di pensare delle persone sono quelle senza morti e feriti, quelle che durano di più. Il cambiamento però bisogna anche capirlo, accorgersene: il più delle volte non ce ne rendiamo conto.