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Focolai d’America, in California è già stato d’emergenza

Focolai d’America, in California è già stato d’emergenzaIl governatore della California, Gavin Newsom, con la sua boccetta di liquido disinfettante – Ap

Coronavirus La nave Grand Princess in quarantena al largo di San Francisco. Ma i casi di infezione si moltiplicano e riguardano ormai 17 stati

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 6 marzo 2020

La California sta ancora contando i voti delle primarie di martedì scorso ma intanto è stata costretta a dichiarare lo stato di emergenza per il Coronavirus e a mettere in quarantena la nave Grand Princess al largo di San Francisco. E mentre Donald Trump continua a twittare le sue fantasie mattutine sul «grande lavoro» che la sua amministrazione starebbe facendo, i focolai di infezione si moltiplicano: nello stato di Washington, in New Jersey, in Texas e in altri 14 stati.

SONO 54 I CASI ACCERTATI nella sola California, circa 200 nell’insieme degli Stati uniti, 11 i morti, ma queste cifre sono certamente sottostimate perché i meccanismi della sanità privata americana dissuadono molti dal farsi esaminare. La settimana scorsa si era diffusa la notizia di un cittadino che si era presentato volontariamente in un ospedale della Florida per fare il tampone, risultando negativo al test ma ricevendo subito dopo un conto dall’ospedale di 3.270 dollari. Le verifiche fatte dai giornali hanno poi permesso di accertare che in parte la spesa era stata coperta dall’assicurazione ma che al malcapitato Osmel Azcue erano comunque stati addebitati 819 dollari per la visita al pronto soccorso, non coperta dalla sua polizza.

SE QUESTO È CIÒ CHE ACCADE a chi è assicurato, possiamo facilmente immaginare cosa accadrà agli oltre 40 milioni di americani che non dispongono di alcuna assicurazione sanitaria: andranno in ospedale solo quando i sintomi saranno di una gravità tale da rendere impossibile ogni altra scelta. A quel punto, sperando che non sia troppo tardi, comunque il paziente avrà infettato la sua famiglia, i colleghi di lavoro, gli utenti dell’autobus che avrà preso o del McDonald’s dove avrà mangiato, creando decine, o più probabilmente centinaia, di nuovi casi.

LA SANITÀ IN MANI PRIVATE è l’ambiente ideale per la propagazione del virus: mercoledì il Center for Disease Control ha annunciato che chiunque chieda il test potrà farlo, se autorizzato da un medico, ma negli Stati uniti «la capacità di effettuare i test è ancora così limitata che gli esperti temono che le cliniche e gli ospedali possano essere sopraffatti da una valanga di richieste – scrive il New York Times – Ci vorranno settimane e settimane prima che milioni di americani possano effettivamente essere controllati».

IN ALTRE PAROLE, mancano le strutture, mancano decisioni centralizzate e mancano i soldi: gli 8 miliardi di dollari stanziati dal Congresso non saranno certo sufficienti a evitare la propagazione dell’epidemia.
Se ne sono accorti anche i mercati azionari, che ieri sono di nuovo andati in rosso, in particolare per le perdite previste per le compagnie aeree, stimate nella astronomica cifra di 113 miliardi di dollari a causa del crollo del traffico aereo legato all’epidemia. L’euforia di mercoledì, seguita al successo di Joe Biden (il candidato più amato da Wall Street) nelle primarie di martedì è stata di breve durata e le prossime settimane potrebbero essere durissime per il Dow Jones e il Nasdaq.

UN’ALTRA ZONA DI INCERTEZZA è quella della campagna elettorale: il 3 novembre si vota per la presidenza e per il Congresso e otto mesi sono un’eternità nella politica americana. Basti pensare che una settimana fa c’erano ben sei candidati con ragionevoli ambizioni di ottenere la candidatura democratica alle presidenziali, ieri erano rimasti solo in due. Dopo il ritiro di Pete Buttigieg e Amy Klobuchar era arrivato quello del miliardario Michael Bloomberg e, ieri, quello di Elizabeth Warren: i primi tre hanno già annunciato di sostenere Joe Biden, la Warren quasi certamente appoggerà Bernie Sanders, il candidato dei giovani e della sinistra del partito.

Ma al di là del duello tra i democratici, che potrebbe durare fino alla convenzione di Milwaukee, in luglio, il vero interrogativo è cosa accadrà all’amministrazione Trump, che sta già rivelando la sua palese incompetenza. Come ben si sa, Trump e Pence da anni conducono una guerra contro la scienza in generale e il tema del cambiamento climatico in particolare. Gli esperti sono stati sostituiti da uomini di paglia o lobbisti in tutti i settori: difficile, quindi, che un sistema già corrotto e inefficiente come quello della sanità americana sia all’altezza della situazione in questo frangente. Pesano non solo le responsabilità politiche ma anche e soprattutto i fattori strutturali di cui dicevamo sopra.

SEMBRA RAGIONEVOLE ipotizzare che quando i cittadini cominceranno a vedere l’impatto del virus, l’inefficacia e la crudeltà del sistema, la confusione della politica, ne trarranno le conseguenze anche al momento delle loro scelte di voto. In altre parole, la situazione favorevole per Trump di cui tutti parlavano solo 10 giorni fa, con un’economia in crescita e avversari divisi, potrebbe essersi già rovesciata nel suo opposto.

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