L’esito è scontato ma Piero Fassino si è preparato con efficienza sabauda, quando alle 11 di mattina i cinque si siedono nella stanza di Sinistra italiana a Montecitorio – da una parte con lui il vicesegretario Pd Martina e Cesare Damiano, dall’altra il capogruppo alla camera di Si-Possibile Giulio Marcon e la capogruppo di Mdp al senato Maria Cecilia Guerra – squaderna il suo ipad come se ci fosse davvero una possibilità di trattare. E comincia a leggere una lista di proposte: sull’art.18 l’allungamento a 36 mesi dell’indennità, sul welfare il 19 per cento di detrazione per le badanti, il servizio civile universale, alcuni provvedimenti sul fisco.

Quanto al renzismo passato e recente, «il passato è passato, serve una coalizione per battere le destre, vi rendete conto che possono vincere?».

CECILIA GUERRA, CHE È un’economista, entra nel dettaglio, smonta le «proposte», una a una. Non c’è solo il passato, c’è anche il presente. «Fra poco in aula il Pd si prepara a affossare per sempre la modifica dell’art.18», dice lei. E oltre al passato c’è anche il futuro: «Saresti in grado di garantire che la campagna di Renzi non sarà al grido sbagliato ’meno tasse per tutti’?». «Ma quello è solo uno slogan», si spazientisce Martina. Fassino spiega che fosse per lui «le tasse servono a pagare i servizi per tutti», ma è chiaro che a Renzi lo slogan piace.

All’uscita, dopo un ora e mezza di non-dialogo, Giulio Marcon riepiloga: «Non ci sono margini di intesa con chi in questi anni ha fatto politiche sbagliate». Poi dà appuntamento all’assemblea di lancio della lista, a Roma il 3 dicembre: «Grasso sarà il nostro leader».

Ormai è sicuro, ma il presidente del senato, ancora per due settimane nelle sue vesti istituzionali, deve dettare una smentita: «Il presidente non ha sciolto alcuna riserva», il resto sono auspici.

A MONTECITORIO nel pomeriggio va in scena l’ennesima rottura sinistra-Pd. Ci vuole la chiamata alle armi estesa a tutta la maggioranza per riportare in commissione la proposta di legge che ripristina l’articolo 18. Con l’aiuto anche di qualche voto a destra, la richiesta della relatrice Pd Titti Di Salvo che sotterra il provvedimento viene approvata con soli 26 voti di scarto.

Se tre giorni fa la discussione era avvenuta in un’aula deserta, stavolta c’è il pienone fra i banchi del Pd e dei centristi. Si rivede perfino il falco di Confindustria Piero Bombassei, parlamentare della fu Scelta Civica montiana che alla camera hanno faticato a riconoscere, anche per i baffi tagliati. A chiudere il quadretto confindustriale pensa l’ex capo ufficio stampa – diventato editorialista della fu Unità – Ernesto Auci, anch’esso parlamentare centrista.

È il capogruppo dem Ettore Rosato a spiegare «che il ritorno in commissione è una porta tenuta faticosamente aperta sul dialogo a sinistra». La scusa non è cambiata: in cambio della reintegra in caso di licenziamenti illegittimi il Pd offre un semplice aumento della tassa sui licenziamenti, prevista in forma blanda in legge di bilancio.

«Qualche mesata in più è offensiva rispetto al diritto dei lavoratori di vedersi riconoscere il posto di lavoro in caso di licenziamenti illegittimi», replica Giorgio Airaudo, relatore di minoranza. «Si è persa un’occasione molto più importante di qualche appello all’unità dei cosiddetti padri nobili della sinistra», chiosa Francesco Laforgia, capogruppo Mdp e primo firmatario della proposta.

OGGI ALLA CAMERA FASSINO incontra la delegazione di Pisapia, Bruno Tabacci, Luigi Manconi e Ciccio Ferrara. L’accordo è nelle cose, ma il diavolo si nasconde nei dettagli.

La lista arancione accoglie meglio le proposte di Fassino, ma deve essere calibrata fra arancioni, verdi, socialisti e radicali (italiani, che oggi presentano la loro idea di una lista «+Europa») per non rischiare di non acciuffare il 3 per cento. I «big» Pisapia e Bonino però non avrebbero intenzione di candidarsi.

E c’è il problema delle firme: se non si useranno i nomi dei partiti già presenti in parlamento, dovranno essere raccolte. E c’è il problema di Alfano: venerdì alla riunione di Ap si prevede una spaccatura, ma il ministro degli esteri è fra quelli che vogliono l’alleanza con il Pd.

ANCHE A SINISTRA della sinistra i giochi non sono chiusi. Rifondazione comunista invia una lettera aperta a Sinistra italiana per chiedere «il coraggio di una svolta nel segno della ricerca dell’unità con chi le politiche neoliberiste le ha contrastate», (leggasi non gli ex Pd), e di riaprire il dialogo anche con i civici del Brancaccio.