È scoppiata la pace commerciale tra Usa e Cina. O forse sarebbe meglio parlare di tregua, visto che l’accordo appena siglato tra le due superpotenze economiche prevede un tagliando già nel 2021.

Dopo le tensioni seguite alla decisione americana dello scorso 22 marzo di imporre dazi pesanti all’importazione di prodotti cinesi, peraltro una concausa nel rallentamento dell’economia su scala globale, il documento di 94 pagine siglato a Washington, i cui termini di dettaglio non sono però tutti noti, costituisce un importante passo in avanti nella normalizzazione dei rapporti commerciali tra i due Paesi.

Si può parlare di una vittoria di Trump? Il tycoon durante la conferenza stampa si è autocelebrato ma la verità, anche in questo caso, ha molte sfaccettature. «L’intesa è buona per la Cina, per gli Usa e per il mondo», ha commentato da Pechino Xi Jinping. E c’è da giurare che l’ordine delle parole nella frase non è casuale.

Andiamo ai numeri. La Cina, nei due anni successivi all’accordo, dovrà acquistare prodotti statunitensi per un valore totale di 200 miliardi di dollari in più rispetto a quello dei due anni precedenti (76,7 miliardi di dollari nel 2020 e 123,3 miliardi nel 2021). Nello specifico, Pechino si impegna ad importare 80 miliardi di dollari in prodotti manifatturieri, 50 in forniture energetiche, 40 in servizi e 30 in prodotti agro-alimentari. Da parte loro, gli Usa si impegnano invece a sospendere gli aumenti dei dazi sulle importazioni cinesi, senza – per ora – abolire quelli già in vigore che valgono circa 370 miliardi di dollari, anche se saranno ridotti dal 15% al 7,5% quelli su alcuni beni.

Se il mercato mondiale si riducesse ai soli scambi tra Cina e Usa, non ci sarebbero dubbi su chi avrebbe vinto il mach. In realtà, la guerra dei dazi ha obbligato la Cina a spostare la sua attenzione verso altri mercati, dall’Europa al Sud-Est asiatico, passando per Australia e Canada.

Alla restrizione del mercato americano (nel 2018 gli Usa hanno importato oltre 500 miliardi di prodotti cinesi), Pechino ha rimediato vendendo i suoi prodotti altrove, senza subire grossi scossoni (le esportazioni della Cina nel 2019 sono risultate in aumento rispetto al 2018, con conseguente aumento del suo avanzo commerciale col resto del mondo).

Ha esportato, ma ha anche importato dai nuovi mercati verso cui ha diretto le sue strategie commerciali. Soprattutto prodotti alimentari e agricoli. Prodotti che adesso potrà, grazie al nuovo accordo, importare per una parte dagli Usa a «prezzi più competitivi» e secondo gli «standard di qualità e sicurezza cinesi».

In sintesi: i cinesi avranno più spazi di mercato negli Usa grazie alla sospensione degli aumenti dei dazi, ma soprattutto grazie al dimezzamento di quelli su una serie di beni. In questo modo, potranno superare abbondantemente gli attuali 500 miliardi di dollari di esportazioni, mentre gli Usa non riusciranno a compensare il disavanzo commerciale con Pechino, che, sempre nel 2018, è stato di 380 miliardi di dollari. Non solo. L’accordo prevede una fase di prova, per così dire, di due anni. Se in questo periodo non saranno fatti passi in avanti per revocare i dazi i vigore, la Cina potrà svincolarsi dagli impegni sottoscritti e rivolgersi per gli stessi prodotti ad altri mercati. Senza rinunciare a sovvenzioni di Stato alle sue imprese, che costituiscono il suo principale vantaggio competitivo sul mercato mondiale.

Nel gioco, però, potrebbero perderci intanto altri Paesi. E soprattutto l’Europa. Un esempio: 32 miliardi di dollari di derrate alimentari americane, potrebbero significare 32 miliardi di dollari di importazioni in meno degli stessi beni da altri Paesi. Un obiettivo scientemente perseguito da Washington nella sua strategia diretta al ridimensionamento del peso politico dell’Europa nello scacchiere geopolitico e commerciale mondiale?