La spremuta di olive, il più importante condimento che abbiamo a disposizione, ha raggiunto in questi ultimi mesi prezzi record. Tra i prodotti alimentari, l’olio d’oliva è quello che ha subito il maggiore incremento rispetto a un anno fa, un più 40% che non si spiega solo tirando in ballo l’inflazione. L’aumento di prezzo riguarda tutti i paesi, europei ed extraeuropei. I consumatori che si aggirano tra gli scaffali della grande distribuzione alla ricerca di qualche offerta promozionale, difficilmente trovano una bottiglia di olio extravergine al di sotto di 9-10 euro. Il prezzo di 8 euro a litro è stato superato anche in Spagna e Grecia.

SICURAMENTE SI È CHIUSO IL TEMPO in cui la grande distribuzione poteva proporre in offerta l’olio extravergine a 2,99 euro al litro. Si trattava di miscele di oli comunitari ed extracomunitari che raggiungevano a fatica i requisiti richiesti, ma gli stessi oli sono attualmente in bella mostra a 9 euro al litro. Una parte dei consumatori si sta dirigendo verso gli oli di oliva meno pregiati o sceglie come alternativa i meno costosi oli di semi. I dati indicano che nell’ultimo anno in Italia si è registrato un calo nei consumi di olio di oliva, un fenomeno che potrebbe accentuarsi.

ALLA BASE DELL’IMPENNATA DEI PREZZI c’è una crisi produttiva che ha investito i paesi del bacino del Mediterraneo, dove si produce il 90% dell’olio mondiale. La crisi di produzione è legata al cambiamento climatico in atto e i cui effetti si stanno manifestando con maggiore intensità proprio nell’area mediterranea. L’ulivo, che è il simbolo di questa area, è la pianta che più sta soffrendo per le alte temperature e la siccità di questi anni. La resilienza che ha mostrato nel corso dei secoli non sembra sufficiente a fronteggiare l’attuale crisi climatica. La campagna olivicola-olearia in corso e che si concluderà a gennaio non è in grado di invertire la rotta. Si attende una produzione leggermente superiore a quella dell’anno scorso, ma non sufficiente a ricostituire le scorte che nell’autunno di quest’anno hanno toccato in Europa il minimo storico degli ultimi decenni.

AL 30 SETTEMBRE LE RISERVE EUROPEE ammontavano a circa 300 mila tonnellate, la metà della disponibilità che si aveva nello stesso periodo degli anni precedenti. In attesa che venga commercializzato il nuovo olio, le quantità disponibili copriranno a fatica la domanda dell’industria olearia e della grande distribuzione. Sarà, soprattutto, l’olio extravergine di qualità a mancare. Siamo in riserva e la spia dell’olio segna il rosso, con i prezzi che rimarranno alti fino a quando non ci sarà una inversione di tendenza in termini produttivi. Ma nessuno è in grado di prevedere quando questo potrà avvenire, perché i fenomeni meteorologici che stanno influenzando così negativamente il settore non sono destinati ad esaurirsi.

LA PRODUZIONE DI OLIO DI OLIVA è da sempre soggetta a variazioni da un anno all’altro in relazione all’andamento climatico. Ma in questi ultimi anni gli eventi climatici avversi si stanno manifestando con una tale frequenza e intensità da determinare dei crolli produttivi. Secondo la Direzione agricoltura presso la Commissione europea, nella campagna 2022-2023 la produzione mondiale di olio di oliva ha registrato un calo superiore al 25% rispetto alla media degli anni precedenti.

LA SPAGNA, CHE PRODUCE QUASI la metà dell’olio di oliva, ha subito un tracollo produttivo del 56%. Per l’Italia, che conserva a fatica il secondo posto, il calo è stato del 26%, con una produzione di 240 mila tonnellate, ben al di sotto del fabbisogno che è di 900 mila tonnellate annue. Cali produttivi intorno al 25% si sono registrati anche per Grecia, Portogallo, Tunisia, Marocco. L’unico paese ad aver avuto un incremento di produzione è stata la Turchia che si propone come «nuova potenza olearia».

LA CRISI PRODUTTIVA STA RIDISEGNANDO la geografia dell’olio d’oliva, perché si stanno modificando i rapporti tra i paesi che lo producono. Il caso spagnolo merita una particolare attenzione perché l’andamento produttivo di quel paese incide profondamente sul mercato mondiale dell’olio. La Spagna ha sviluppato negli ultimi decenni una coltivazione dell’ulivo di tipo intensivo, arrivando a produrre fino a 1,5 milioni di tonnellate di olio, sopravanzando l’Italia e diventando il primo esportatore mondiale. La forte capacità produttiva ha consentito ai gruppi oleari spagnoli di acquisire gran parte dei marchi europei, in particolare quelli italiani, per accaparrarsi nuove quote di mercato. Bertolli, Carapelli, Sasso, Sagra, Berio, sono alcune delle società nate in Italia e passate sotto il controllo delle multinazionali dell’olio.

LE BOTTIGLIE CON QUESTI MARCHI contengono miscele di oli in cui predomina l’olio spagnolo con un 10-15% di olio italico. Un meccanismo che sembrava ben oleato, fino a quando la siccità non ha assunto le attuali dimensioni. Le coltivazioni intensive degli ulivi spagnoli richiedono grandi quantità di acqua, 3-4 volte di più degli ulivi presenti in Italia e Grecia, per le pratiche colturali utilizzate e per la maggiore densità delle piante per unità di superficie. Questo tipo di coltivazione garantisce alte rese quando le condizioni climatiche sono favorevoli, situazione che si verifica sempre più raramente, mentre è particolarmente penalizzata nei periodi di siccità prolungata. Sono molti gli studiosi che criticano la tecnica colturale che si è affermata in Spagna, perché sarà sempre più esposta agli effetti del cambiamento climatico. Inoltre, la minore disponibilità di acqua negli invasi non consente le irrigazioni di sostegno di cui gli ulivi spagnoli hanno bisogno.

ANCHE L’ITALIA È STATA COLPITA dalla siccità che si è manifestata, in particolare, in Puglia, Calabrie e Sicilia, le tre regioni che nel loro insieme producono l’80% dell’olio italiano. La siccità ha inciso in maggio sulle fioriture e, nei mesi successivi, ha impedito il normale accrescimento e la maturazione delle olive. Alte temperature e siccità contribuiscono, inoltre, all’aumento delle patologie che colpiscono gli ulivi e vanno a incidere sulla quantità e qualità del raccolto. Gli olivicoltori della Puglia, che rimane la regione con la produzione maggiore nonostante i gravi danni causati nel Salento dalla Xylella, hanno dovuto far ricorso a irrigazioni di sostegno per limitare i danni, col conseguente aumento dei costi di produzione.

GLI ALTRI ELEMENTI CHE HANNO PESATO nel determinare il prezzo finale dell’olio d’oliva sono riconducibili al caro energia: aumento di un 20% dei costi di molitura, maggiore incidenza dei costi di trasporto, il raddoppio del costo delle bottiglie di vetro. La novità di quest’anno è che alcune aziende, anche sulla spinta della grande distribuzione, impiegano per l’olio d’oliva le bottiglie in Pet per ridurre i costi. Una scelta che mal si concilia con la salute umana e l’ambiente. In queste settimane i frantoi sono in piena attività, ma la produzione di olio sarà ancora al di sotto della media e i prezzi sono destinati a rimanere alti. Il futuro del settore olivicolo-oleario si annuncia denso di incognite, soprattutto per i paesi come l’Italia che non hanno sviluppato un piano olivicolo nazionale in grado di contrastare gli effetti del cambiamento climatico.