Expost. Dopo infiniti ritardi, lotte e scandali, la Fiera Internazionale di Milano del 2015, c’è da giurarci, alla fine si farà. Costi quel che costi. Anche se non si può perdere neppure un giorno per arrivare all’apertura il prossimo primo maggio avendo realizzato il minimo indispensabile per non fare una figuraccia internazionale. E se questa è la lunghissima e intricatissima vicenda che ha portato Milano sul punto di mancare l’unica occasione per rilanciare la propria immagine e l’economia, ci si può solo immaginare quanto possa essere complicato capire che cosa succederà quando il fatidico 2015 sarà passato. Il rischio è che il mega appuntamento si risolva in un’enorme spesa, con ricadute effimere per il territorio milanese e per l’Italia, e che passata la festa rimanga un grande vuoto: pochissime infrastrutture realizzate, tanti cantieri aperti mai finiti, senza contare l’incerto destino dell’area di Rho Pero che potrebbe tornare ad essere un anonimo e gigantesco terreno a nord di Milano nel mezzo di una delle zone più degradate dell’hinterland. Ma l’incubo più grande è che al posto di salvare l’economia, Expo si lasci alle spalle grandi buchi finanziari sia per i privati che per gli enti locali.

Messa al bando

Questa settimana è stato ufficialmente pubblicato il bando di gara per l’alienazione e la riqualificazione proprio dell’area di Rho Pero (un milione di metri quadri). La proprietaria è Arexpo, la società che ha comprato i terreni dalla famiglia Cabassi e dalla Fiera di Milano e che dopo il 2015 dovrà venderli per rientrare dalle spese. Arexpo è controllata dalla Regione Lombardia, dal comune di Milano e dalla stessa Fondazione Fiera. Base d’asta non trattabile 315 milioni e 416 mila euro. Al bando potranno partecipare anche cordate di imprese per la realizzazione contemporanea di progetti diversi: dovranno presentare le loro proposte entro il 30 novembre con tanto di fideiussione da 3 milioni di euro. Poi una commissione apposita avrà 15 giorni di tempo per decretare il vincitore.

Il contratto per l’assegnazione dei lavori dopo il 2015 dovrebbe essere firmato già entro il 31 dicembre contestualmente al pagamento di una prima rata preliminare da 30 milioni. Poi ci sarà un anno di tempo per valutare di nuovo il tutto. Nel frattempo a gestire i terreni continuerà ad essere Arexpo. Per ora sembrerebbe che ci sia stato un interessamento per la realizzazione di 15 progetti. Tra questi c’è la costruzione del nuovo stadio del Milan, ben vista dal governatore lombardo Bobo Maroni, il quale invita anche la Rai a farsi avanti per investire sui terreni. Il comune di Milano invece sembra più favorevole alla creazione di un grande incubatore di imprese all’avanguardia, una sorta di Silicon Valley alla meneghina che continuerebbe a occuparsi anche di agricoltura e di alimentazione.

Peccato originale

Per capire come andrà a finire questa storia però forse conviene ripartire dall’inizio. Fu l’ex sindaco Letizia Moratti a tirare fuori dal cilindro Expo per cercare di mettere ordine tra le speculazioni selvagge e disordinate che hanno caratterizzato l’epoca del suo predecessore Gabriele Albertini. Una buona idea, anzi, troppo buona per lasciare indifferente il vero signore incontrastato della Lombardia per oltre un ventennio: il celeste Formigoni. Ne scaturì una guerra tutta interna al centrodestra tra Comune e Regione per mantenere la potestà sull’evento. Moratti, ovvero Palazzo Marino, non aveva i soldi che poteva mettere sul piatto Formigoni. Per questo l’ex sindaco puntava a stipulare un comodato d’uso per la gestione temporanea dei terreni lasciando la proprietà e lo sviluppo dell’area post 2015 alla famiglia Cabassi, da sempre orgogliosa di fare progetti economicamente validi ma anche socialmente e culturalmente significativi. Formigoni invece ha spinto per l’acquisto dell’area da Cabassi e da Fondazione Fiera da sempre vicina al governatore ciellino; così in un colpo solo si è preso il controllo di Expo, favorito involontariamente anche dalla vittoria di Pisapia che ha messo alla porta Letizia Moratti. I Cabassi sostengono di essere stati praticamente costretti a svendere; l’acquisto però, soprattutto per palazzo Marino è stato un vero salasso che ha tarpato le ali sul nascere alla svolta arancione di Pisapia.

L’alternativa sarebbe stata di pensare da subito a realizzare l’evento su terreni pubblici, secondo una proposta – tardiva – di Stefano Boeri che non ha mai davvero interessato nessuno. L’archistar prima ha lavorato con la Moratti, poi si è candidato alle primarie e le ha perse; a questo punto ha cambiato idea: ha proposto di realizzare tutto all’Ortomercato e ha litigato con i Cabassi e soprattutto con Pisapia che lo ha cacciato dalla giunta. Ma ormai era troppo tardi: Expo era nelle mani di Formigoni che però era a un passo dalla sua caduta.
L’esito del bando pubblicato l’altro giorno è l’ultima chance per tentare di porre rimedio ai danni incalcolabili dovuti a questa lunga storia di lotte tra poteri prossimi al declino.

Piano B

L’ipotesi che il bando vada a buon fine, però, al momento è più un desiderio che una concreta speranza. Il punto è che non sono molti i privati disposti ad accollarsi l’impresa. Intanto per i vincoli che dovranno rispettare: metà del terreno dovrà ospitare un parco, gli indici di edificabilità sono modesti, non si possono realizzare mega centri commerciali e la scelta da parte della commissione verrà effettuata per il 70% sulla base della qualità dei progetti dal punto di vista del bene comune e solo per il 30% per la convenienza economica. Il rischio è dunque che alla fine l’asta vada deserta e che siano gli stessi enti pubblici a doversi ancora una volta fare carico dell’enorme impresa di finanziare il dopo 2015. Un disastro, specialmente per il comune di Milano, che su Expo ha investito la quasi totalità delle risorse sempre più magre del proprio bilancio e che dunque ha un estremo bisogno di rientrare almeno in parte dalle spese.

Tanto più che dietro a tutto l’affare, come al solito, ci sono le banche. Entro aprile 2017 Arexpo deve restituire 160 milioni di finanziamento ricevuto per realizzare Expo. Sono state proprio Intesa San Paolo, Popolare di Sondrio, Veneto Banca, Credito Bergamasco, Banca Popolare di Milano e Imi a fissare i tempi della pubblicazione del bando. Da qui il piano C, ovvero l’ultima spiaggia. Se né privati né pubblico riusciranno a fare fruttare l’area, le banche potrebbero far valere l’ipoteca in loro possesso sui terreni e diventare loro gli sviluppatori per cercare di rientrare dal passivo.

Un altro mattone nel muro

Se questa fosse la fine ingloriosa del dopo-Expo sarebbe solo l’ultima messa in scena, in scala ancora più grande, di ciò che a Milano e in Lombardia succede da anni. Le banche investono su terreni e mattoni che valgono sempre meno. La crisi ha spazzato via giganti del mattone come Ligresti e Zunino, ha generato una crisi finanziaria e ha tolto le fondamenta al potere politico ed economico rappresentato dal berlusconismo e dal formigonismo. Quando gli affari hanno cominciato a non tirare più non ha retto più neppure chi basava il proprio potere sulla possibilità di spartire e controllare il business. Il gioco si è rotto e sono rimasti solo gli scandali, come quelli che hanno travolto lo stesso Formigoni e tanti suoi ex assessori, o come la neo tangentopoli della famosa “cupola” che ha riportato in auge dinosauri come Primo Greganti.
Expo e dopo Expo sono una sorta di ricostituente che dovrebbe tenere in piedi un sistema al collasso, giusto il tempo per costruirne uno tutto nuovo. Un salto mortale senza rete da non fallire. Per questo il post Expo è molto più di un semplice progetto sulle aree di Rho Pero. Si tratta di voltare pagina. Se verrà gestito alla vecchia maniera Milano e l’Italia perderanno una delle poche occasioni che hanno per “cambiare verso”. Il passaggio dal berlusconismo al renzismo, sempre che sia davvero una svolta, passa anche da qui. E a questo proposito il dubbio finale che questa storia sia destinata a ripetersi viene dalle indisrezioni sul decreto Sblocca Italia che sarà varato settimana prossima, ancora una volta si parla di deroghe sulle procedure di realizzazioni delle opere. Proprie quelle di cui non vorrebbe più sentir parlare il presidente dell’autorità anticorruzione Raffaele Cantone nominato dopo gli scandali di Expo e Mose. Ma, direbbe Renzi, questi sono solo grilli per la testa dei soliti gufi.