Ogni volta che il dialogo tra il governo Maduro e l’opposizione sembra decollare, c’è sempre chi tenta di mandare all’aria tutto. Il pericolo, stavolta, viene dall’estradizione negli Stati uniti di Alex Saab, imprenditore colombiano, naturalizzato venezuelano, vicino a Maduro, arrestato nel giugno del 2020 a Capo Verde – durante uno scalo del suo aereo privato diretto in Iran – sulla base di un mandato di arresto internazionale. Tra le accuse, quella di essersi impossessato di milioni di dollari destinati a programmi per la distribuzione di cibo alla popolazione venezuelana.
Inutili si sono rivelati tutti gli sforzi a suo favore, dalla nomina di Saab ad ambasciatore presso l’Unione africana alla sentenza con cui il Tribunale di giustizia della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale aveva ordinato a marzo l’immediata liberazione del diplomatico, fino alla richiesta del Comitato per i diritti umani dell’Onu, l’8 giugno, di sospendere l’estradizione negli Usa.

IMMEDIATA la reazione del governo Maduro, che ha subito provveduto a sospendere il dialogo con l’opposizione e a rispedire in carcere sei dirigenti della compagnia petrolifera Citgo, tra cui cinque cittadini statunitensi, che, finiti in prigione nel 2017 con l’accusa di corruzione, si erano poi visti concedere gli arresti domiciliari come segno di distensione nei confronti degli Usa.
«Questa azione illegale e disumana, in violazione del diritto internazionale, costituisce un nuovo atto di aggressione da parte degli Stati uniti», ha dichiarato il presidente dell’Assemblea nazionale Jorge Rodríguez, ritirando la partecipazione della delegazione governativa al quarto round negoziale con l’opposizione che avrebbe dovuto iniziare domenica a Città del Messico.
Quell’opposizione che non aveva perso tempo a esultare per l’estradizione di Saab, in un atteggiamento ben poco conciliante alla vigilia di una nuovo turno di dialogo: «Prima o poi cadranno tutti coloro che hanno saccheggiato il Venezuela e commesso crimini contro l’umanità», ha dichiarato Carlos Vecchio, uno dei membri dell’équipe negoziale.
Di «sequestro» di un diplomatico ha parlato invece Maduro, ricordando come Saab fosse stato incaricato di acquistare alimenti, farmaci e benzina per il Venezuela nel momento più duro dell’embargo e fosse stato per questo «rinchiuso al buio in un buco pieno di escrementi e di topi e torturato per giorni». E tutto ciò per obbligarlo – invano – «a mentire e a lanciare accuse false contro il Venezuela».

MA DI FRONTE all’estradizione di Saab – «un trionfo nella lotta contro il traffico di droga e il riciclaggio di denaro legati alla dittatura di Maduro» – non poteva mancare neppure la reazione soddisfatta del presidente colombiano Ivan Duque, a sua volta finito al centro delle polemiche dopo l’omicidio da parte di uomini armati, nel municipio colombiano di Tibú, di due adolescenti venezuelani di 12 e 18 anni accusati di furto. Un assassinio che ha subito riacceso le accuse di xenofobia nei confronti dei migranti venezuelani da parte di Maduro: «In Colombia stanno assassinando due venezuelani al giorno», ha denunciato, condannando la campagna d’odio contro la repubblica bolivariana.
In questo quadro, mentre il cammino verso le elezioni del 21 novembre sembra ora nuovamente complicarsi, anche l’Unione europea è riuscita a metterci del suo: dopo essersi impegnata a mandare propri osservatori, l’alto rappresentante per gli affari esteri Josep Borrell ha infatti dichiarato, alla faccia della neutralità, che «l’obiettivo della missione elettorale della Ue è quello di accompagnare l’opposizione venezuelana».