Per capire i progressi che si registrano ultimamente in Libia basterebbe seguire la fitta agenda di appuntamenti dell’inviata dell’Onu nel Paese. Terminato domenica sera il Forum del Dialogo politico libico in Tunisia, Stephanie Williams ha incontrato ieri le parti rivali nella città di Brega per discutere dell’unificazione delle Guardie petrolifere, tra i punti più importanti concordati la scorsa settimana dalla Commissione militare 5+5, l’organismo formato da cinque rappresentanti del governo di Tripoli (Gna) e cinque dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Enl) dell’esecutivo di Tobruk.

L’obiettivo è creare un nuovo «modello» unificato per proteggere i giacimenti petroliferi provando così a superare le divisioni locali e tribali, fotografia nitida dell’assenza di un’autorità centrale nel Paese.

Ma le buone notizie che giungono da Brega non sembrano essere finite qui. Ieri un deputato del Gna appartenente al Comitato militare, al-Fitouri Greibeel, ha annunciato la formazione di un sottocomitato che «conterà prima le armi pesanti e i veicoli militari di ciascuna parte e poi prevederà il ritiro dei mercenari».

Ipotesi suggestiva, ma fin troppo ottimistica visto che le divisioni tra Tripoli e Tobruk restano evidenti. Il flop del Forum libico di Tunisi lo ha confermato.

Dopo una settimana d’incontri, i lavori si sono conclusi domenica senza alcun accordo sul meccanismo di selezione dei nuovi membri del Consiglio di presidenza, del governo di unità nazionale e sui nomi delle cariche politiche più alte.

EPPUR QUALCOSA si è mosso: i rappresentanti hanno concordato sulla separazione tra il capo del Consiglio presidenziale e il primo ministro e soprattutto sulla data delle elezioni il 24 dicembre 2021.

Ma una data è uno specchietto per le allodole senza un’intesa sui candidati in grado di unire il governo e tutte le istituzioni, uno dei centrali per cui il Forum era stato convocato. Il vertice di Tunisi ha posto in evidenza tutte le difficoltà del dossier libico: durante e prima i lavori non sono mancati scambi di accuse per corruzione e vibranti proteste per alcune possibili nomine giudicate «controverse».

A restare a mani vuote sono stati soprattutto il ministro dell’Interno di Tripoli, Fathi Bashagha (che ambisce alla carica di premier), e il presidente del parlamento di Tobruk, Aguila Saleh che invece punta alla guida del Consiglio di Presidenza.

Bashagha è il gran deluso: uomo forte della città-stato di Misurata e da molti ritenuto vicino ai Fratelli musulmani, vanta il sostegno di importanti sponsor stranieri, dall’Onu alla Turchia, dal Regno Unito all’Italia, dagli Usa alla Francia. Proprio a Parigi, riferiscono fonti libiche, il ministro è atteso nei prossimi giorni per ricevere l’investitura ufficiale francese alla carica di premier.

MA RESTA LA TURCHIA a dominare la partita libica. Ieri si era diffusa la notizia della visita a Tripoli in giornata del presidente turco Erdogan con il chiaro obiettivo di ribadire – non a caso post-Tunisi – come gli accordi tra Ankara e al-Sarraj non potranno essere annullati da nessuna riconciliazione nazionale.

Al momento della chiusura del giornale, del “Sultano” non ci sono tracce in Libia, ma a prescindere o meno dalla sua presenza i rapporti tra Turchia e Gna sono solidi. Ieri il ministro della Difesa libico al-Namrouh era a Istanbul per incontrare il suo omologo Akar che assicurava che l’addestramento, il sostegno e la consulenza di Ankara ai «fratelli libici» continuerà. Parole che non piaceranno affatto a Tobruk.