Il presidente turco Erdogan è rientrato dalla visita in Germania con il bottino atteso. Emblematiche le sue parole finali: «Grazie a Dio onnipotente, questa visita è stata molto produttiva. Ho sottolineato l’importanza di mettere da parte le nostre differenze e concentrarci sugli interessi comuni».

È bene chiarire quali siano queste differenze e quali gli interessi comuni, esplicitati da Erdogan: terrorismo, migranti, guerra militare, guerra commerciale. Questo il filo conduttore che unisce Berlino ad Ankara e fa passare tutto il resto sotto silenzio.

L’incontro con la cancelliera Merkel costituisce il preambolo di un più ampio tentativo di accordo tra Turchia, Germania, Francia e Russia sul futuro della Siria. Dopo aver ottenuto tempo prezioso a Idlib, scongiurandone l’invasione da parte delle forze russe e dell’esercito regolare siriano, Erdogan funge ora da portavoce del blocco pro-Assad senza che Putin debba muovere un dito. L’atteggiamento conciliante tedesco, più che un tentativo di allentare il sodalizio tra Ankara e Mosca, di fatto avvicina i pesi massimi dell’Europa alle posizioni russe.

Al contempo si allarga ancora di più la frattura turco-americana in seno alla Nato. Berlino ha rimosso l’avviso di sicurezza per i cittadini tedeschi che viaggiano in Turchia e, soprattutto, alcune restrizioni al flusso di capitali tedeschi verso il paese anatolico. Un segnale di sostegno a Erdogan nella guerra finanziaria con Trump, che sta colpendo duramente la valuta turca e la stabilità economica del paese.

A cui si aggiunge in calendario la futura visita in Turchia del ministro dell’economia tedesco Altmaier, destinato a rinsaldare i rapporti e chiudere affari come quello del rinnovamento delle ferrovie anatoliche, un affare da 35 miliardi di euro in mano a Siemens e Deutsche Bahn.

Ai risultati in campo economico e geostrategico, Erdogan aggiunge un guadagno d’immagine in patria e nel mondo musulmano, grazie all’inaugurazione della nuova moschea a Colonia, che per il leader turco è l’ingrediente fondamentale da dispensare attraverso la rete mediatica allineata che garantirà nuova linfa alla sua popolarità.

I 681 arresti di questa settimana in Turchia (sospettati di legami con Gülen e il Pkk) sono la dimostrazione che la linea del reis del «contro di me, tutti terroristi», inaugurata tre anni da, non è stata minimamente intaccata. Angela Merkel ammette che su libertà d’informazione e diritti «rimangono profonde differenze» e la richiesta di estradizione per 69 esuli turchi in Germania è stata respinta dalle autorità tedesche.

Ma è sufficiente? L’Europa come rifugio dei terroristi. Così Erdogan costruisce consenso in casa senza pagarne dazio nell’arena internazionale.

La Germania dimostra così quanto gli interessi economici sovrastino la tutela dello stato di diritto e, attraverso le relazioni bilaterali turco-tedesche, infligge un duro colpo ai timidi tentativi delle istituzioni europee di riportare i diritti umani in cima all’agenda. Per l’Europa, l’ennesima occasione persa per agire come soggetto unico. La colpa è dei suoi membri, Erdogan il beneficiario.