A sei mesi dalle elezioni, previste per giugno 2023, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan deve aver pensato che le operazioni militari contro il Kurdistan tra Siria e Iraq non bastano a risalire nei consensi dei cittadini turchi.

Con i sondaggi che danno il suo partito, l’Akp, imbrigliato in un testa a testa con la principale forza di opposizione, i repubblicani del Chp, serve altro per convincere un paese alle prese con una gravissima crisi economica e un’inflazione folle (66,8% su base annuale per il 2022), la cui principale preoccupazione non è il Rojava ma arrivare con dignità a fine mese.

E allora Erdogan apre i cordoni (populisti) della borsa, dopo anni di politiche neoliberiste, privatizzazioni e una gestione economica familistica fatta di mega appalti distribuiti ad amici e parenti. Mercoledì Ankara ha annunciato la cancellazione del requisito dell’età per la pensione (al momento 60 anni per gli uomini e 58 per le donne) con 20-25 anni di lavoro regolare per chi ha iniziato a versare contributi prima del 1999. Una mossa (costo ipotetico: 5,35 miliardi di dollari) che permetterebbe a 2,3 milioni di persone di accedere alla pensione anticipata.

Giunge a stretto giro dall’annuncio di un aumento del 55% del salario minimo, ora su base mensile pari a 8.500 lire (circa 455 dollari). Apparentemente un incremento consistente, ma quasi del tutto «mangiato» dal tasso di inflazione e dalla svalutazione della moneta.