«Senza dati non c’è lettura della realtà»: Elisa Ercoli è la presidente di Differenza donna, ong che gestisce Centri antiviolenza e Case rifugio e, dal 2020, il numero nazionale antiviolenza e stalking.

Cosa dicono i numeri del focus Istat?
I dati dimostrano che Cav e Case rifugio sono il fulcro della rete soprattutto grazie alla specializzazione che hanno le donne che operano nelle strutture. Luoghi che accolgono, sostengono e accompagnano l’uscita dalla violenza. Un processo che crea saperi e pratiche importanti perché privi di stereotipi e pregiudizi. Lavoriamo per contrastare quello che il patriarcato ha provato a celare. È una formazione preziosa che consente di interpretare i fenomeni in modo corretto. Ad esempio, la variazione dei numeri spesso indica solo una maggiore o minore emersione dei fenomeni.

Dal punto di vista dell’utenza, qual è il quadro?
Aumenta l’emersione della violenza e aumentano anche le bambine e i bambini che vi assistono o la vivono in modo diretto. Dobbiamo eliminare un grande pregiudizio: la violenza non è una storia tra due soggetti, è un reato e una grave violazione dei diritti umani, quindi dovrebbe suscitare una reazione sociale molto più forte. Invece subiamo ondate collettive in cui si trova una minimizzazione, se non una giustificazione, della gravità della violenza. Tutti siamo contrari alla violenza degli uomini sulle donne. Quando poi i soggetti hanno un nome e un cognome diventa più complicato. E abbiamo visto com’è complicata anche la giustizia con sentenze che ci raccontato come sia possibile stigmatizzare la donna operando una vittimizzazione secondaria.

Qual è il profilo delle donne che accedono alla rete?
Forze dell’ordine, ospedali, servizi sociali sono quelli che intercettano di più le donne con una fragilità sociale o psicofisica e una bassa istruzione, soggetti quindi che subiscono una maggiore discriminazione. Anche le donne straniere ricorrono più frequentemente ai servizi generali. Noi rispondiamo al 1522 in 15 lingue diverse ma resta il fatto che per questi segmenti è più difficile. Il ricorso ai servizi specializzati (Cav, 1522) o ai professionisti (avvocati, psicologi) è più frequente nelle donne italiane con un diploma o una laurea, economicamente autonome.

Le donne, quindi, che soffrono discriminazioni multiple o più vulnerabili si rivolgono spesso alle forze dell’ordine o Pronto soccorso. Cosa implica?
Si tratta delle situazioni più complesse in cui le donne devono essere maggiormente sostenute e quindi, soprattutto in questi casi, la rete antiviolenza deve funzionare: le forze dell’ordine devono informarle immediatamente che possono essere seguite dai Cav, essere protette. Serve una rete molto ampia per farle comprendere che il percorso di fuoriuscita è sostenibile.

Qual è l’ostacolo maggiore da superare?
Gli stereotipi e i pregiudizi a cominciare dall’essere le responsabili della violenza subita. Veniamo educate a tollerare. E poi la reazione pubblica e privata ostile. Infine, l’Italia è ultima in Europa per occupazione femminile e salari, la dipendenza economica è un grande freno. Il Cav è anche il luogo che racconta alle donne quali sono le possibilità per rendersi autonome, come ottenere qualunque cosa sia nel loro diritto avere.

Perché le Case rifugio sono poche al Sud?
Perché costano in media il triplo di un Cav. Sono aperte 24 ore su 24, forniscono vitto e alloggio. Dovremmo avere in Italia un posto ogni 10mila abitanti, ne abbiamo molti molti meno. Eppure sono fondamentali nei casi in cui è a rischio la vita.

Oltre un terzo dei Cav ha i bilanci in rosso.
Le linee di finanziamento funzionano in modo disomogeneo sul territorio nazionale. A Roma non c’è mai stato un Cav o una Casa rifugio che abbia chiuso, nelle altre città ci sono stati periodi negativi. È iniziata una mappatura dei centri riconosciuti a livello istituzionale per collegarli al riparto dei fondi. Per adesso la rete funziona con i bandi, spesso di un solo anno. Occorrerebbe creare un sistema trasparente, in sinergia con gli enti pubblici, che stabilizzi e preservi la continuità della rete.