In una Tunisia che sta ritrovando la sua quotidianità tra emergenza sanitaria di Covid-19 e colpi di mano presidenziali, è partito il conto alla rovescia per capire le reali intenzioni di Kais Saied sul futuro democratico del paese. Il 25 agosto scadranno i 30 giorni con cui il responsabile di Cartagine ha sospeso i lavori del parlamento e sciolto il governo. Fino ad allora le parti coinvolte si muovono a ritmo di dichiarazioni, comunicati e riunioni di partito.

L’ULTIMO IN ORDINE di tempo è stato il movimento di ispirazione islamica Ennahda, protagonista indiscusso del dopo Rivoluzione. Dopo avere più volte gridato al colpo di Stato attraverso il suo leader Rached Ghannouchi, il 52° consiglio della Choura – tenutosi mercoledì scorso – ha dettato la linea da tenere: prudenza e appello al dialogo nazionale.

«Capiamo la collera della popolazione, soprattutto tra i giovani, a causa del fallimento economico e sociale di questi ultimi dieci anni», si legge nel comunicato rilasciato a termine del consiglio, che si potrebbe anche definire una presa in carico delle proprie responsabilità.

Ghannouchi, 80 anni, venti dei quali passati in esilio a Londra, ha letto sia lo stato d’animo del paese – l’87% dei tunisini è a favore della mossa di Saied – ma anche l’umore nero che monta all’interno del suo partito. Ennahda, oggi, è un movimento diviso in una miriade di correnti, spaccato anche tra una base giovanile che chiede importanti riforme interne e il vertice della piramide rappresentato proprio dal presidente del parlamento, restio a qualsiasi cambiamento.

A TESTIMONIARE lo scollamento è la progressiva perdita di voti a ogni turno elettorale. Il consiglio della Choura ha avuto un duplico obiettivo: evitare pericolose scissioni in questa delicata fase politica ma, soprattutto, prendere tempo in vista dell’undicesimo congresso del partito previsto a fine 2021, quando la resa dei conti sarà evidente.

Già ora sono cento i firmatari della petizione che chiede a Ghannouchi di non ricandidarsi, aspetto che tra l’altro dovrebbe prevedere una modifica dello statuto interno di Ennahda. Tra questi c’è anche Samir Dilou, ex ministro dei diritti dell’Uomo tra il 2011 e il 2014 e uno dei personaggi più attendisti rispetto allo stravolgimento istituzionale voluto da Saied.

Lo stesso Saied, oltre a incassare un’importante vittoria politica, continua a governare a suon di decreti presidenziali e purghe interne. È notizia di due giorni fa il licenziamento dei governatori di Medenine, Monastir e Zaghouan. Da dieci giorni il presidente è impegnato in una serie di visite istituzionali nei luoghi chiavi della capitale.

Dopo il bagno di folla del 25 luglio, tre giorni fa si è recato nuovamente al ministero dell’interno in Avenue Bourguiba e giovedì, in un incontro a palazzo di Cartagine, si è intrattenuto con il direttore generale dell’ufficio per la pianificazione idrica Mosbah Helali facendo appello «a non privare i tunisini del loro diritto di accedere all’acqua potabile».

Nel frattempo, in seguito alla decisione di affidare la campagna vaccinale all’esercito, Saied ha nominato il nuovo ministro della Salute Ali Murabat.

RESTA SUL TAVOLO la questione del nuovo primo ministro: «Per il momento non c’è stata una decisione su chi sarà il nuovo premier – ha dichiarato Walid Hajjem, consigliere presso Cartagine – Il presidente è cosciente di tutto quello che passa e si dice in strada. Continua a lavorare con determinazione secondo una visione chiara».

Se il nuovo governo promesso da Saied tarda ad arrivare, continuano invece a passo spedito gli arresti di personaggi di primo piano. Ieri l’ex ministro dei Trasporti Anouar Maarouf è stato messo agli arresti domiciliari con accuse ancora da chiarire. Maarouf fa parte del quadro dirigente di Ennahda.