«È un momento unico per ricostruire un’antica amicizia e una vicinanza che non hanno mai conosciuto interruzioni». Le parole di Mario Draghi pronunciate ieri a Tripoli al premier del Governo transitorio di unità nazionale libico Dabaiba non lasciano spazio a dubbi: l’Italia vuole giocare la parte da leone nella ricostruzione della «nuova» Libia, riportando le lancette dell’orologio (dirà in seguito Dabaiba) al Trattato di amicizia italo-libico del 2008. Allora a Palazzo Chigi c’era Berlusconi mentre a reggere le sorti del paese nordafricano il rais Gheddafi, allora grande amico di Roma scopertosi nemico solo tre anni dopo al punto da essere deposto dalle bombe della Nato.

DRAGHI – ACCOMPAGNATO dal ministro Di Maio, ormai un habitué in terra libica – ha detto che la sua visita è «la dimostrazione dell’importanza del legame storico tra i due Paesi», sottolineando la volontà di entrambe le parti a «ripartire in fretta» per riprendere e rafforzare la partnership.

Sia chiaro, ha poi precisato, in «piena sovranità» della nazione nordafricana. Affinché ciò accada, ha spiegato il premier italiano, è necessario però che regga il cessate il fuoco («indubbiamente un requisito per procedere con la collaborazione»).

Ma su questo punto ha ostentato sicurezza: «Mi sono state date rassicurazioni durante il nostro incontro straordinariamente soddisfacente, caloroso e ricco di contenuti».

LA LISTA DI AGGETTIVI positivi non è apparsa affettata: Roma si sfrega le mani pensando a come la «stabilità libica» potrà tradursi favorevolmente sia nel contrasto all’immigrazione (incubo dell’intera Europa), ma anche per le aziende nostrane. La diplomazia economica italiana lavora per la transizione energetica della Libia che darà più spazio alle energie rinnovabili.

Se l’Eni farà la parte da leone in questo settore, l’Italia sarà anche attiva nella ricostruzione dell’aeroporto di Tripoli devastato da due guerre (del 2014 e 2019-2020). Qui opererà l’Enav che si occupa anche del training dei controllori del traffico aereo.

Lo spazio aereo libico resta al momento ancora chiuso al resto del mondo perché le infrastrutture non rispettano le norme internazionali. Ma l’intervento italiano, in particolare del consorzio Aeneas, potrebbe colmare queste lacune.

Roma potrebbe avere un ruolo anche nel settore sanitario che il neo governo libico vorrebbe ammodernare (gli italiani già sono presenti con l’ospedale da campo di Misurata) e potenzialmente nel settore delle telecomunicazioni: la Libia, insieme ad altri paesi della sponda sud del Mediterraneo, potrebbe essere coinvolta nel progetto italo-statunitense BlueMed che collega con un cavo sottomarino la Liguria a Mumbai passando per la Sicilia.

ALLA RICERCA di legittimità internazionale, il governo Dabaiba ringrazia. «Apprezziamo la prima visita del presidente Draghi a Tripoli – ha detto – Apprezzo che l’Italia sia uno dei pochi Paesi che ha continuato a mantenere i rapporti tenendo l’ambasciata a Tripoli aperta in un periodo molto difficile».

Lo smemorato primo ministro non ha ricordato quanta rabbia provocò in Tripolitania l’avvicinamento di Roma al generale cirenaico Haftar quando quest’ultimo alla fine del 2019 sembrava ormai prossimo a vincere contro Tripoli retta dall’allora nostro alleato al-Sarraj. Un «tradimento» per molti tripolini, ma ieri è stato completamente rimosso quando il neo-premier ha riportato in vita il Trattato di amicizia dei tempi di Gheddafi «specialmente per quanto riguarda la strada costiera».

«Auspichiamo – ha poi aggiunto – la riapertura dello spazio aereo libico, la riapertura delle dogane e la riattivazione del rilascio dei visti per i libici in particolare per studenti, uomini d’affari e malati».

DRAGHI HA TRATTATO gli stessi temi anche con il capo del Consiglio di presidenza della Libia, Mohammed Menfi, mentre con il suo pari greco Mitsotakis ha ribadito la necessità per l’Ue e gli Stati membri di sostenere gli sforzi di stabilizzazione del Paese nordafricano.

Nonostante il riavvicinamento tra Atene e Tripoli, Mitsotakis ha voluto rovinare un po’ la giornata a Dabaiba: gli ha chiesto di annullare l’accordo sui confini marittimi firmato nel 2019 dall’allora governo di Tripoli con la Turchia perché «viola il diritto internazionale». Richiesta che resterà disattesa, nulla o quasi avviene in Libia senza passare per Ankara. Roma di questo è consapevole, al di là dei trionfalismi.