In Asia le cose cominciano a procedere in modo spedito: il summit tra Kim e Trump, al di là della sua simbologia e della sua forza mediatica, ha messo in moto parecchi processi.

Solo nella giornata di ieri si sono verificati due fatti che potrebbero risultare determinanti nel futuro del continente: nella mattinata le due Coree hanno ripreso quei colloqui militari interrotti dal dicembre del 2007. In serata fonti dell’amministrazione americana avrebbero sostenuto che le esercitazioni tra Corea del Sud e Stati uniti nella penisola coreana saranno sospese a tempo indefinito. Non c’è la conferma ufficiale, ma già Trump lo aveva praticamente annunciato nella conferenza stampa dopo il summit con Kim.

MOON JAE-IN aveva specificato che ci avrebbe pensato e che se il percorso di dialogo tra Usa e Corea del Nord fosse proseguito in modo pacifico, l’abbandono delle esercitazioni sarebbe diventata una conseguenza ovvia.

Non la pensa di sicuro così il Giappone che nei giorni successivi a Sentosa ha più volte ribadito che i war games, come li ha definiti il presidente americano, costituivano una garanzia alla sicurezza della regione (e del Giappone). Tutto questo avveniva mentre Tokyo confermava altresì la propria intenzione di un incontro con Kim, mentre Putin invitava Kim – ormai da dittatore sanguinario il leader della Corea del Nord è una specie di personaggio ambito da ogni amministrazione – a settembre a Mosca e mentre il segretario di stato Usa Mike Pompeo era a Pechino.

UNA SITUAZIONE FLUIDA, dunque, in cui a ogni mossa segue una risposta. E sullo sfondo, sorniona, c’è la Cina, uscita vincitrice dallo storico meeting di Singapore e in procinto di vedere sempre più vicino il proprio obiettivo – dichiarato da sempre – della «doppia sospensione». Ma in tutto questo clima proprio la visita di Pompeo a Pechino ha riportato tutti con i piedi per terra. Anticipato dalle dichiarazioni cinesi di rispetto delle sanzioni contro Pyongyang finché non arriveranno segnali chiari in direzione della denuclearizzazione – che Washington ha fatto capire di volere da Kim entro al massimo due anni – Pompeo ha specificato che in realtà i passi da fare sono ancora tanti e che non si può stare certi che tutto andrà secondo i piani. C’è infatti il rischio, ha detto Pompeo, che la Corea del Nord possa tirarsi indietro rispetto alle promesse fatte sul proprio processo di denuclearizzazione. Pompeo, però, come aveva già fatto Trump a Singapore, ha voluto ringraziare la Cina e il presidente, Xi Jinping, per «avere portato la Corea del Nord al tavolo dei negoziati». Il ministro degli esteri di Pechino, Wang Yi, ha poi sottolineato l’apprezzamento della Cina per il summit di Singapore e ha incoraggiato Stati uniti e Corea del Nord a continuare a incontrarsi «a metà strada».

«LA CINA – ha poi raccontato Pompeo – è il terzo paese con cui ho avuto occasione di parlare» con riferimento agli incontri con i ministri degli esteri di Corea del Sud e Giappone, avvenuti a Seul: «con tutti e tre i paesi, ha specificato il segretario di stato, c’è stato accordo sul cambio di relazioni con la Corea del Nord lontano dalla minaccia della guerra e verso la pace nella penisola coreana, sul lavoro del presidente Trump e sull’impegno di Kim per raggiungere la denuclearizzazione e sul mantenimento del regime di sanzioni fino a che questa non sia avvenuta».

WANG YI ha poi aggiunto che da parte di tutti paesi deve esserci un forte impegno per questo scopo ma ha sottolineato che «allo stesso tempo dobbiamo affrontare le legittime questioni di sicurezza della Corea del Nord».