«La discesa in campo di Grasso? Sul tema parla solo il segretario nazionale». Che il vicesegretario Pd Maurizio Martina schivi le domande sul leader di «Liberi e uguali» la dice lunga sul nervosismo diffuso nelle file del Pd da domenica pomeriggio, e cioè dal lancio della candidatura del presidente del senato a capo della lista formata in gran parte dagli ex pd. Domenica sera la reazione a caldo di Matteo Renzi è stata una frase stizzita: «Bisogna capire se comanderà Grasso o D’Alema».

Non che il tema di chi decida nella Ditta Bersani&Fratoianni non esista. Ma i più lucidi al Nazareno hanno giudicato la frase del loro segretario un errore da correggere prima che la personalizzazione dello scontro elettorale giochi brutti scherzi. L’anniversario della sconfitta del referendum ha aiutato gli altri a rinfrescarsi la memoria.

Meglio, molto meglio provare con l’usato sicuro, il vecchio caro ritornello del «voto utile», i famosi 60-70 che il Pd perde a causa dei nuovi nati a sinistra. Argomento che però con una legge elettorale che non consegna la vittoria a nessuno, funziona poco. Piero Fassino ieri ci ha provato: «Se l’obiettivo della nuova formazione politica è quello di puntare al 10 per cento, io dico che con il 10 non si vincono le elezioni. E presentarsi da soli ha come unico effetto quello di rendere più difficile al centrosinistra la competizione con il populismo e la destra».

Intanto Grasso lavora a sminarsi il campo, cosa che sarà probabilmente la sua principale occupazione da neo leader. Le accuse arrivano principalmente dal suo ex partito. Ieri il presidente del senato ha respinto le critiche filtrate dai retroscena di stampa che lo descrivevano pronto a deporre l’imparzialità nell’esercizio delle funzioni a palazzo Madama. A iniziare dalla conferenza dei capigruppo di oggi che si occuperà di biotestamento e forse anche di ius soli. Sospetti «infondati», fanno sapere fonti della presidenza. Anche perché in quella riunione il presidente fa una proposta sulla base degli orientamenti dei gruppi, che deve essere approvata a maggioranza. E solo poi, in aula, la proposta di calendario può essere cambiata con un voto.

L’attacco preventivo è il primo della nuova vita politica di Grasso. Non sarà l’ultimo. Intanto il tesoriere Pd Francesco Bonifazi gli chiede se intende versare gli 83.250 euro di contributo al partito.
Ma la vicenda della – improbabile – calendarizzazione dello ius soli è centrale anche per l’alleanza fra Pd e Campo progressista. Ieri Pisapia si è seccato per l’ennesimo articolo che dava per fatto l’accordo con il partito di Renzi. «Ribadisco che da alcune settimane abbiamo aperto un tavolo di confronto con il Pd a cui abbiamo presentato richieste precise per costruire un’alleanza di centrosinistra in grado di battere destre e populismi». La verità è che dopo un po’ di tentennamenti – neanche a dirlo – ora l’ex sindaco chiede non solo l’approvazione del biotestamento ma anche la calendarizzazione dello ius soli (basta quella, non il sì), «spartiacque tra chi vuole stare con il centrosinistra in difesa dei diritti e chi invece con la destra xenofoba».

Gli ambasciatori di Pisapia hanno spiegato a Fassino che il veto sul nome di Alfano può cadere (e già questo avrebbe un costo in termini di attacchi dei compagni della Ditta). Ma se passa il messaggio che Alfano detta ancora la linea alla coalizione sarà difficile per Cp fare la parte «della sinistra». E sarà impossibile convincere la presidente della camera Boldrini, già orientata verso Grasso, a candidarsi da questa parte.

Ora il rischio concreto è lo sfaldamento dell’area dell’ex sindaco, che già fa i conti con qualche defezione alla camera in vista del sì alla manovra. Fassino ha replicato che portare lo ius soli in aula rischia di far saltare la maggioranza proprio alla vigilia dello scioglimento delle camere. Non si possono «umiliare» i futuri alleati moderati. Il rebus che in queste ore è nelle mani dello stesso Renzi. E che al momento sembra senza soluzione. d.p.