Ha avuto la menzione speciale al 29mo Trieste Film Festival nella sezione Premio Corso Salani. Country for Old Men di Stefano Cravero e Pietro Jona. Entrambi torinesi, Stefano Cravero montatore, Pietro Jona operatore, hanno colto il suggerimento di un’amica che viveva in Ecuador per incontrare la comunità di statunitensi trasferiti a Cotacachi.

Tutti pensionati alla ricerca di un livello economico di vita non più sostenibile negli Usa, trapiantati in una società pacifica dove le armi sono bandite (anche se non è male fornire le recinzioni di sistemi di allarme).

Tanti gli spunti di riflessione che emergono, in bilico tra l’umoristico, il sociologico, la disillusione dell’era Trump.

«Sono partito con la mia camera per iniziare a fare una piccola indagine – dice Pietro Jona – e recuperare del materiale su cui, attraverso ricerche e studi su internet, abbiamo capito che si poteva sviluppare un progetto interessante che si proietta verso una situazione universale. Potevamo anche decidere di girare in altri posti in cui gli statunitensi emigrano, ma la proporzione ridotta della città e della comunità permetteva di girare senza troppi problemi».

Quanto tempo avete impiegato per realizzare il vostro film?

Cravero: Tre anni divisi in tre sessioni. La fase di elaborazione e del montaggio è stata la più lunga e ha avuto diverse fasi. Ad esempio, nella prima abbiamo lavorato da soli ma successivamente abbiamo capito che ci serviva qualcuno che avesse uno sguardo esterno, che non fosse coinvolto fin dall’inizio nel progetto. Così in una seconda fase abbiamo contattato Luca Mandrile come montatore e abbiamo ragionato con lui su quello che avevamo fatto fino ad allora e su quello che volevamo realmente tirare fuori da questo materiale, per arrivare così alla forma conclusiva e alla fine di questo progetto. Essendo un documentario in buona parte di osservazione, ovviamente il montaggio prevedeva una serie di ragionamenti abbastanza complicati visto che non raccontiamo una storia, ma una situazione; quindi è sempre più difficile.

Il vostro film esplora la situazione dei pensionati statunitensi nati durante gli anni Quaranta-Cinquanta?

Jona: Sì, infatti, molti di loro hanno partecipato anche alla guerra del Vietnam.

Cravero: E nella maggior parte dei casi appartengono alla media borghesia, a una classe che non stava particolarmente male e che aveva accolto pienamente quel progetto semplicissimo di: vivi, lavora, metti i soldi da parte e compra la casa con il giardinetto e la macchina parcheggiata nel cortile. E loro lo avevano fatto. Ma negli anni Duemila con tutte le varie crisi economiche, i mutui e i finanziamenti selvaggi si sono visti crollare tutto quello per cui avevano lavorato una vita, cioè comprarsi una casetta in Florida. Ed è curioso che sia proprio la classe media a non riuscire più ad arrivare al quel sogno.

Jona: In più c’è il problema della sanità. Ovviamente avvicinandosi alla vecchiaia si sono accorti che se si rompono un femore devono trovare 75mila dollari. Mentre in Ecuador c’è un sistema sanitario come il nostro. Per loro è sconvolgente poter continuare a mantenere un tenore di vita alto con la prospettiva che qualsiasi problema medico possano avere nei prossimi anni, può essere risolto egregiamente da un sistema sanitario pubblico o privato che è assolutamente a portata di mano.

La popolazione del luogo, come vive la presenza di queste «colonie» statunitensi?

Cravero: Se in una cittadina di 10mila abitanti metti 700 nuovi cittadini più ricchi della media, chiaramente cambia qualcosa a livello degli equilibri economici. Ci sono alcuni che hanno trovato dei vantaggi tipo: i 3-5 tassisti che sanno parlare inglese, degli avvocati o chi aveva dei terreni da vendere. Ci sono quelli che non sono stati minimamente influenzati; e poi ci sono quelli che hanno patito indirettamente perché, gioco forza, i prezzi delle terre sono aumentati. Chi è svantaggiato sono i meno abbienti che vedono raddoppiare o triplicare i prezzi rispetto a 15 anni fa.

Jona: La figura più particolare è quella del tassista Freddie, per nostra scelta l’unico della popolazione locale ad essere intervistato. La sua storia è molto curiosa: immigrato negli Stati Uniti per cercare lavoro, ha vissuto lì 15 anni facendo tutti i classici lavori degli immigrati del sud America. Ma sull’onda di questa immigrazione inversa è tornato nel suo paese ritrovandosi ad essere uno dei pochi che sapesse parlare inglese, un inglese un po’ buffo, ma l’unico che potesse comunicare con questi vecchietti che arrivavano dagli States. E adesso vive abbastanza bene grazie al suo taxi, lavora moltissime ore al giorno, poiché chiamano sempre lui. Ed è curioso che alla fine di tutto ha trovato il benessere nella sua città grazie al lavoro da tassista e a questi vecchietti.