Non c’è solo la spada di Damocle della Corte costituzionale con la scadenza dell’8 novembre sull’ergastolo ostativo. Riguardo la Giustizia, i requisiti di necessità e urgenza che dovrebbero giustificare il decreto legge sarebbero dovuti anche, stando a quanto spiegato dal Guardasigilli Carlo Nordio al termine del primo Cdm del governo Meloni, al «grido di dolore degli uffici giudiziari», impreparati all’entrata in vigore della riforma Cartabia prevista per domani e ora – per effetto del provvedimento governativo – slittata al 30 dicembre.

LA SOLUZIONE è presto trovata anche per fermare il preannunciato giudizio di incostituzionalità sulle norme che impediscono a priori l’accesso ai benefici penitenziari e alla liberazione condizionale dei detenuti mafiosi (e non solo) che non abbiano collaborato con la giustizia. È bastato riproporre in forma di decreto legge lo stesso testo arenatosi al Senato, in modo da ostacolare intanto l’imminente pronunciamento della Consulta che potrebbe decidere di non esprimersi su una norma ancora in divenire. E infatti la presidente Giorgia Meloni, che su quel testo alla Camera diede indicazione di astensione (insieme a Italia Viva) perché considerato troppo «morbido» con i mafiosi, ha auspicato ieri che «in sede di conversione del decreto, il Parlamento possa migliorare la norma che era uscita dalla precedente legislatura».

D’altronde, il monito dei giudici costituzionali era rivolto proprio al Parlamento, e Meloni passa ora la palla alla sua maggioranza sfidando gli eventuali garantisti che si annidassero nel centrodestra a dimostrare che «nella lotta alla mafia non intendiamo fare neanche mezzo passo indietro, ma solo passi in avanti». La parola ora va al Capo dello Stato, Sergio Mattarella, che valuterà la fondatezza dei motivi di necessità e urgenza del provvedimento.

Per quanto concerne la riforma del processo penale, quella messa a punto dalla ministra Cartabia «avrebbe comportato un sovraccarico intollerabile per tutti gli uffici giudiziari», ha spiegato Nordio rivelando di aver ricevuto in questo senso una lettera firmata da tutte le procure d’Italia. Perché, per esempio, «sarebbe stato impossibile garantire il flusso informativo tra pm e procure generali che la normativa prevede», in particolare riguardo al passaggio dalla procedibilità d’ufficio a quella su querela riguardante alcuni reati. E, aggiunge Nordio, c’è al momento «incompatibilità anche con le risorse disponibili». Però il rinvio, assicura, non avrà «alcun impatto negativo per il Pnrr».

SULL’ERGASTOLO ostativo invece, la bozza di decreto legge dovrebbe prevedere solo poche variazioni rispetto al ddl approdato in Senato (Nordio ha parlato di «piccole modifiche tecniche» riguardanti i tribunali). Ma anche in questo caso il nuovo testo di legge si allontana e di molto, secondo gli avvocati penalisti e l’Associazione Antigone, dalle indicazioni della Consulta. Va chiarito intanto che le restrizioni di accesso ai benefici penitenziari previste dal testo non si applicano solo ai condannati per associazione mafiosa e terroristica, ma anche a detenuti che scontano pene per scambio politico-elettorale di tipo mafioso, violenza sessuale su minore e di gruppo, tratta di migranti (un’accusa che può essere rivolta anche al migrante lasciato a pilotare il barcone), traffico di sostanze stupefacenti, induzione e sfruttamento alla prostituzione minorile e pedo pornografia, ecc.

Su questo tipo di detenuti grava l’inversione dell’onere della prova: dovranno essere loro a dimostrare «l’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l’assoluta impossibilità di tale adempimento», e allegare «elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione dall’organizzazione criminale di eventuale appartenenza, che consentano di escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto nel quale il reato è stato commesso».

IN OGNI CASO, i condannati «non potranno comunque essere ammessi alla liberazione condizionale se non hanno scontato almeno due terzi della pena temporanea o almeno 30 anni di pena, in caso di condanna all’ergastolo». Sono queste, secondo l’Unione camere penali, «tali e tante condizioni “impossibili”, da determinare un eclatante peggioramento del regime normativo previgente, in spregio delle indicazioni del Giudice delle Leggi». Infine, come ha notato anche un «sorpreso» Mauro Palma, Garante nazionale dei detenuti, viene aggiunta (comma 1 del 4 bis dell’ordinamento penitenziario) una limitazione allo scioglimento del cumulo tra reati ostativi e non ostativi. Ma è un frutto avvelenato che viene da lontano: «Purtroppo – come spiega Gian Paolo Catanzariti, responsabile Osservatorio carceri dell’Ucpi – ci portiamo dietro 30 anni di diritto costituzionale calpestato da tutti i governi, di destra e di sinistra».