Il «Piano nazionale di ripresa e resilienza» (Pnrr) è il Sacro Graal dell’economia italiana. È finanziato dall’Unione Europea, ma è scomparso dai radar mediatici mentre il circo politico si sta scaldando in vista delle elezioni europee di giugno.

La redazione consiglia:
Openpolis: «Sul Piano di rilancio poca trasparenza e ritardi trasversali»

Doveva riscattare l’umanità dagli errori catastrofici compiuti prima e durante la pandemia, ma si sta perdendo in una nebbia di burocrazie macchinose che sono l’antitesi della conoscenza e della trasparenza, due valori teoricamente cari a una democrazia «liberale» che tanto riempie le bocche.

Oggi, nonostante gli annunci trionfalistici del governo Meloni, le informazioni disponibili su come sono e saranno spesi gli oltre 200 miliardi del piano sono sempre meno. E quelle che sono a disposizione rivelano in realtà ritardi, non detti. Dietro le quinte sono in molti a sapere che una parte di questi soldi sarà restituita.

Per avere almeno un’idea di cosa davvero sta accadendo ieri 316 associazioni (dal Gimbe a Legambiente alla trasmissione di Rai3 Report) aderenti alla campagna #DatiBeneComune, con il sostegno dell’Osservatorio civico Pnrr e l’assistenza dello studio legale E-Lex, hanno presentato la terza richiesta di accesso generalizzato agli atti (Foia) attraverso il quale si cerca di ripristinare un minimo di controllo sociale sulle scelte e sulle attività del governo e degli enti locali coinvolti nel mega-progetto.

La fondazione Openpolis ha ricordato ieri che grazie alla costante opera di pressione la comunicazione è migliorata. Per oltre un anno infatti i dati disponibili riguardavano solamente 5.246 progetti legati a 3 misure. Fino al 4 dicembre scorso si sono ottenute informazioni su circa 230mila progetti di cui si conosce la localizzazione sul territorio, il soggetto attuatore e l’importo. Ma siamo lontani dal sollevare il velo di ignoranza che copre il Pnrr.

Qualche numero è utile per capire la gravità della situazione. Ad oggi, sostengono i ricercatori di Openpolis, le lacune più gravi riguardano i progetti per gli enti locali stralciati dal Pnrr. La proposta di revisione del piano chiesta a Bruxelles dal governo prevedeva il definanziamento totale o parziale di 9 misure, circa 42mila progetti, per circa 12 miliardi di euro a causa del mancato rispetto dei criteri ambientali richiesti dall’Ue, frammentazione degli investimenti, problemi di rendicontazione e di completamento delle opere. Ad oggi il governo non ha ancora chiarito come finanzierà gli interventi che verranno privati delle risorse del Pnrr. Finora ha solo fatto cenno alla possibilità di ricorrere al fondo complementare o a quello per le politiche di coesione. Non è stata provata la fattibilità di tale copertura, né messa in atto. Ciò comporta un grave rischio per gli enti pubblici e privati che avevano messo in cantiere le opere.

La redazione consiglia:
Pnrr, stralciati 16 miliardi a sanità, comuni e ambiente

Un altro problema è l’ipertrofia burocratica che rischia di non fare rispettare i tempi assai serrati previsti dal Pnrr. La rendicontazione richiede competenze di cui molti comuni non dispongono. È il paradosso del neoliberalismo: nato per «semplificare» soffoca nei «lacci e lacciuoli».

La Commissione Ue resta tollerante con il governo Meloni che deve gestire il più alto finanziamento del Pnrr. Non è una questione tecnica. La partita è elettorale. Per ottenere la conferma alla guida della Commissione Ue, Ursula Von Der Leyen – ieri ha ufficializzato la ricandidatura – ha bisogno dei voti di Meloni. E quest’ultima ha bisogno del miraggio del Pnrr per prom