«Noi siamo gli occhi dell’artiglieria» spiega Ivan mentre scarica dal bagagliaio della sua macchina due bauli neri di plastica, «senza di noi come saprebbero dove sono i russi?». In quei contenitori ci sono le parti di un drone-spia che Ivan si appresta a montare sull’erba, protetto da una fila di alberi in mezzo a dei campi coltivati. L’impiego di tali dispositivi, conosciuti anche come Uav (sigla inglese che sta per “Unmanned aerial vehicle”, ovvero “aeromobile a pilotaggio remoto”), negli ultimi anni è aumentato in modo esponenziale grazie alla grande efficacia militare e ai costi relativamente ridotti. Nel conflitto tra Russia e Ucraina ha influenzato significativamente il corso delle operazioni militari.

INNANZITUTTO, data la schiacciante superiorità aerea delle forze russe, senza i droni gli ucraini avrebbero dovuto rinunciare da subito al confronto nei cieli e ciò avrebbe consegnato un vantaggio enorme alle forze dell’esercito invasore. Invece, grazie ai droni d’attacco di produzione turca, i Bayraktar TB-2, e ai droni di ricognizione, Kiev è riuscita da un lato a colpire le postazioni nemiche e dall’altro a controllarne i movimenti o i posizionamenti. Il che è fondamentale in un conflitto in cui i fronti si estendono per decine di chilometri e le battaglie in campo aperto sono quasi assenti. Inoltre, data la disparità delle forze in campo, gli spostamenti di truppe spesso determinano la tenuta o la perdita di un territorio e poterli controllare è tutto. «Vi faccio vedere un video» continua Ivan, «per dimostrarvi quanto sono stupidi i russi». Dallo schermo del suo smartphone ci mostra un piccolo fotomontaggio realizzato da lui stesso con le immagini delle truppe russe in procinto di passare il fiume Seversky, nei pressi di Bilogorivka. «Un intero battaglione, ho contato 72 mezzi corazzati, tutti qui»: indica una macchia nera che con lo zoom rivela i contorni di carrarmati e blindati. «Siamo stati noi (indica il suo collega, che nel frattempo continua a preparare il volo) a scovarli e a dare le coordinate all’artiglieria e poi booom!». Quasi urla di gioia, come uno di quei ragazzoni dei film americani con la faccia pulita che si eccitano oltremodo per qualsiasi cosa. «E poi sapete cos’hanno fatto?» riprende il cellulare e mostra altre foto, «36 ore dopo ci sono tornati, guardate, trenta metri più avanti». Effettivamente il secondo ponte mobile che il genio russo stava costruendo era a pochissima distanza da quello distrutto dagli ucraini poco più di un giorno prima. «Questo vuol dire che un generale russo ha detto: qui sono morti centinaia di soldati… chi se ne frega, ne mando altri 500, tanto sono solo carne da macello, e infatti quella è la fine che hanno fatto, ditemi che non è un comportamento da decerebrati». In realtà il racconto di Ivan, al netto delle sue urla euforiche, corrisponde alla realtà. A Bilogorivka, a ovest di Lysychansk, i russi hanno davvero cercato di creare una testa di ponte spostando centinaia di uomini sulle rive del fiume per accerchiare Severodonetsk. E l’artiglieria ucraina ha effettivamente distrutto un’intera colonna. Ciò che stupisce è che qualche alto ufficiale russo abbia deciso di ritentare l’attacco nello stesso punto, mandando a morire i suoi uomini per niente. Questa disfatta ha rallentato sensibilmente le operazioni di terra russe e, infatti, ancora oggi la città è bombardata pesantemente ma lo sfondamento non si è verificato. Anche se, come raccontano i civili rimasti, negli ultimi giorni l’intensità e la frequenza dei bombardamenti è cresciuta in modo evidente. Ne è la prova l’attacco di oggi che ha fatto registrare, finora, 12 morti e oltre 40 feriti in una zona residenziale della città.

CIÒ CHE È ACCADUTO a Bilogorivka non è un caso isolato, su internet si trovano decine di filmati di colonne in movimento improvvisamente attaccate dai droni nemici o di postazioni di difesa, spesso trincee, improvvisamente saltate in aria perché scoperte dagli Uav e poi colpite dall’artiglieria. Inoltre, è significativo citare il fatto che da oltre un mese a questa parte i bollettini quotidiani dei due eserciti includono sempre almeno «i resti di un drone spia nemico» con foto annesse. Quelli russi si chiamano “Orlan-10” e si possono trovare pressoché in ogni canale Telegram o sito internet che si sta occupando di questa guerra. «Sono buoni velivoli» spiega Ivan, «ma un po’ datati, non hanno niente a che fare con i Lockheed americani o i Leleka che abbiamo qui». Montato, «l’uccello», così come lo definiscono i soldati, pesa circa sei chili, volendo si può alzare con un braccio solo, e ha un’apertura alare di circa due metri che può ridursi a uno all’occorrenza, «ma perde di stabilità» puntualizza Ivan. La parte anteriore del piccolo velivolo è occupata da una sfera estraibile in cui c’è una lente fotografica super-sensibile che riprende le immagini da oltre un chilometro d’altitudine e le trasmette alla base operativa. Quest’ultima è sistemata nel bagagliaio dell’automobile liberato dalle casse con il drone ed è composta da un computer per le mappe e il gps e un grande schermo per il controllo del volo. Tre casse nere che insieme valgono circa 100 mila dollari e che permettono di trovare i nemici e farli esplodere come se fossero personaggi di un videogioco. Ogni fraseche Ivan ci rivolge sembra assurda, non perché inverosimile, ma per la leggerezza con la quale in guerra si parla di «nemici» invece di parlare di «uomini», che poi è ciò che sono i puntini sullo schermo del computer prima di essere ridotti a una poltiglia carbonizzata.

LA PARTE PIÙ SINGOLARE delle operazioni di volo è il decollo. Per far acquistare velocità al velivolo lo si aggancia a un elastico d’acciaio fissato al suolo con un picchetto, come quelli delle tende da campeggio ma più grande e pesante. Ivan si carica in spalla “l’uccello” e inizia a indietreggiare mentre il cavo d’acciaio si tende sempre più. Raggiunta una distanza ideale, con il collega alle spalle che controlla il joystick dei comandi e dà indicazioni, il drone viene lasciato e schizza via velocissimo. Sembra un gioco, ne ha tutte le caratteristiche e anche i due soldati che si definiscono “piloti” hanno l’aria di due bambinoni. Ma poi, se ti trovi nelle trincee e senti il ronzio del drone sopra la testa corri a nasconderti per evitare che ti veda. Se alla radio da campo arriva la comunicazione che un drone nemico è passato sopra la tua zona potrebbe darsi che a breve, o chissà quando, la tua postazione sarà bombardata. Se sei in movimento il rischio che non te ne accorgi neanche è ancora maggiore e, difatti, lungo i tratti stradali contesi tra i due eserciti nessuno si avventura se non è strettamente necessario e chi lo fa spinge sull’acceleratore il più possibile.