A pochi mesi dalla fine del Quantitative easing, il presidente della Bce Mario Draghi interviene in audizione al Parlamento Ue: parla soprattutto di coesione europea – a partire dalle regole e garanzie sulle banche – di dazi nei rapporti con gli Usa, ma poi fa un preciso riferimento al governo italiano. A un eurodeputato del nostro Paese che gli chiedeva un commento rispetto alle possibili riforme delle pensioni e sulla riduzione del debito, Draghi ha risposto: «Prima di pronunciare giudizi è necessario aspettare la prova dei fatti, per ora ci sono solo proclami, che tra l’altro sono cambiati. Prima di esprimere un giudizio dobbiamo stare ai fatti».

Quanto ai possibili effetti che la fine del Qe potrebbe avere per l’Italia, il governatore dei governatori bancari si è detto «fiducioso che l’economia si stia rafforzando e che la riduzione degli acquisti di titoli sia mitigata da altre misure di politica monetaria cosicché l’espansione monetaria rimarrà ampia». Insomma, ci può essere espansione monetaria anche senza che la Banca centrale europea compri titoli per drenare risorse.

«La nostra missione, il nostro mandato – ha comunque precisato Draghi – non è proteggere i bilanci nazionali degli Stati: questa è la nostra bottom line». «Quando abbiamo deciso nell’ultimo consiglio direttivo – ha dunque aggiunto il presidente Bce – abbiamo preso quella decisione sulla base della valutazione che l’inflazione avrebbe seguito una traiettoria convergente, che questo processo sarebbe stato resiliente e che stesse effettivamente avendo luogo. Bisogna sempre tenere a mente che il nostro mandato è la stabilità dei prezzi: non era e non è proteggere i profitti delle banche».

«Siamo stati criticati – si è difeso il presidente della Bce – perché i bassi tassi di interesse avrebbero danneggiato la profittabilità delle banche, cosa che in ogni caso non è successa: potrebbe succedere nel lungo termine, ma non nel breve». Oppure, secondo alcuni, il Quantitative easing avrebbe minato la capacità di fare utili «delle compagnie di assicurazione, per la stessa ragione, perché i tassi di interesse erano troppo bassi. Tuttavia, da quello che vediamo, le compagnie se la sono cavata bene, perché se le passività sono andate su a causa dei bassi tassi di interesse, anche le attività sono salite, nello stesso tempo».

In ogni caso, il Qe finisce qua: «Sl momento attuale non vediamo ragioni che richiedano un allungamento del programma di acquisto di asset», chiosa Draghi.

Quanto all’unione bancaria – affrontata anche all’ultimo consiglio Ue, ma con pochi risultati – Draghi ha spiegato che «nei mesi a venire, anche sulle decisioni sull’Edis (European deposit insurance scheme), non dovremmo farci zavorrare dalla distinzione tra la riduzione del rischio e la condivisione dello stesso», anche perché «la condivisione del rischio aiuta molto a ridurlo».

«Guardate – invita Draghi – alla United States federal deposit insurance corporation, che ha risolto 500 banche senza provocare instabilità finanziaria, anche perché aveva dietro il backstop, la garanzia, del governo Usa. Il numero corrispondente per l’Eurozona è stato inferiore di dieci volte, altro motivo per cui il settore bancario affronta ancora sfide significative. In altre parole, se la condivisione del rischio portasse a una gestione ordinata delle conseguenze sulla stabilità finanziaria, la riduzione del rischio procederebbe a un ritmo molto più alto».

I dazi infine: il protezionismo per Draghi crea «rischi al ribasso» per l’economia Ue: la Ue «può dare sostegno al multilateralismo e al commercio globale».