Scriviamo per uscire almeno dalla piaggeria dilagante verso il nuovo presidente del Consiglio, che sembra ricordare la scenetta di Petrolini-Nerone – e che certo non lo aiuta. Per parlare della «politica estera di Draghi»: le otto righe elencatorie recitate in Parlamento. Non sembra innovativa, ma in sostanziale continuità con la politica estera precedente e soprattutto piena di silenzi e non-detto.
Parliamo subito delle scelte scontate: «europeista», «atlantista» e «multilateralista», definite «irrinunciabili». Di rilievo ma tutte rituali e la seconda in particolare non deve sorprendere.

Che doveva fare Draghi cantare l’Internazionale? Tutte mostrano un reale vuoto di prospettiva e di senso alla luce delle gravi novità che hanno riguardato l’Unione europea, l’Alleanza atlantica e il Mondo negli ultimi anni e il presidente del Consiglio non era proprio da un’altra parte. Affermare allora che al centro dell’iniziativa continentale del nuovo governo c’è il rafforzamento dell’integrazione europea attraverso il consolidamento del partenariato con Francia e Germania, rischia di fotografare lo stato delle cose presenti in Europa, dove sia il partenariato tra i due Paesi sia la realtà della due leadership è tuttora in profonda crisi all’interno e di credibilità fuori.

In Germania Angela Merkel, il collante della crisi tedesca ed europea e delle sue divergenti anime politiche, uscirà quest’anno di scena.  In un Paese do ve l’estrema destra dell’ Afd guarda i numeri della crisi sociale per crescere ancora e sfidare la compagine Cdu-Csu; in Francia poi Macron si è solo in parte riaccreditato ma è assediato dalla protesta sociale derivata solo in parte dalla crisi pandemica, sempre pronto a riposizionare nel mondo la Grandeur militare, attualmente impegnato in alcune guerre tardo-coloniali.

Ma i due governi sono divisi nello scenario energetico sul rapporto con la Russia (e con a Cina) a cominciare dal North Stream 2, favorito da Berlino e osteggiato da Parigi.

SOPRATTUTTO SORPRENDE la riduzione del discorso sull’Europa alla scelta di affiancarsi ai due Paesi egemoni in una Unione ridotta appunto ad un rapporto privilegiato tra le due nazioni più forti: insomma non siamo all’integrazione politica e sovranazionale reale ma ad un equilibrio spesso ostile tra nazioni. Ha ragione Draghi a dichiarare «non c’è sovranismo nella solitudine», ma l’Ue è stata ed è ancora alle prese con la scelta sovranista della Brexit, per un Paese che era centrale nell’integrazione europea. Che è accaduto? Silenzio poi sull’Est europeo, dove il nazionalismo sovranista alligna e prende le distanze dallo stato di diritto, dalla giustizia, dai diritti delle donne e dai diritti umani, elaborando una politica e una pratica xenofoba e razzista verso il dramma dei migranti.

Per i quali l’Ue «Fortezza esclusiva», ha deciso di esternalizzare le proprie frontiere alla Libia, ai Paesi del Sahel, alla Turchia e ai Balcani – a questo serve il richiamo al Mediterraneo? – , monetarizzando la gestione in campi di concentramento, per una umanità in fuga da guerre, conflitti e miseria spesso da noi provocati. Un universo concentrazionario che la dice lunga sulla reale cultura dei governi europei che si riempiono la bocca sulle violazioni altrui dei diritti umani.

EQUIVALE, COME nell’accenno del discorso di Draghi, a mettere nella stessa frase «asilo» e «rimpatri». Un ossimoro dell’intelligenza. Così come tacere – lo ha ricordato sul manifesto Alberto Negri – dell’Egitto del golpista petrolifero Al Sisi e di Giulio Regeni, fatto tragico non marginale se è stato il nodo oscurato dai quattro governi precedenti.

Se non c’è da stupirsi del richiamo all’atlantismo con l’arrivo di Biden alla presidenza Usa – che purtroppo non abbandonerà subito o mai alcuni «risultati» dell’America first di Trump come i dazi a e il Patto di Abramo – , tuttavia c’è da sorprendersi del non-detto.

La Nato è stata responsabile di almeno due guerre negli ultimi 20 anni che hanno coinvolto l’Europa. Smettiamola con la favola del fatto che ha «garantito la pace»: ha esportato la guerra, in Libia, nei Balcani, in Medio oriente, trafficando e vendendo le armi che vengono bollate d’infamia nella tanto citata Laudato Si’ insieme a quei «democratici» che dichiarano di volere la pace ma fanno la guerra.

Quella Nato che, oltre a disseminare l’Italia e il Vecchio continente di servitù e basi militari, anche atomiche – vale anche per queste la transizione ecologica? – ha attivato la rischiosa strategia dell’allargamento a Est, che comincia a dare i suoi frutti amari, dislocando truppe e micidiali sistemi di arma in tutti i Paesi dell’ex patto di Varsavia, tutti diventati atlantici, a ridosso delle frontiere russe.

Alla disperata ricerca di un altro ’89 e del nemico che, per giustificare il mega-bilancio militare della Nato e dei rispettivi Paesi alleati, deve augurabilmente comportarsi come l’Urss. Che però non esiste più. E il cesarismo di Putin ringrazia. Il fatto è che la Nato sussume l’inesistente politica estera dell’Ue che non ha nemmeno un ministro degli esteri, nascosto dentro la formula Pesc, con un impacciato Josep Borrel maltratto sia a Mosca che nel Parlamento europeo dai sovranismi agguerriti. E con la Nato la scelta della Difesa comune europea è solo un raddoppio delle spese di bilancio militare già smisurate.

ULTIMA CONSIDERAZIONE. Ma perché, signor presidente, non ha definito nella sua compagine un Ministero per gli Affari europei? Forse perché lo considera inutile, visto che a trattare con Bruxelles sul recovery fund c’è la sua autorità che incontra Gentiloni per l’economia e Sassoli a capo di un parlamento che tale non è? Siamo dunque al solito «aum aum» italiano riassunto nel suo alto profilo?

Che ne ha fatte di cotte e di crude: dal rigorismo estremo (ad Atene ne sanno qualcosa), che ha portato all’adozione del fiscal compact a livello europeo, spingendo, benché non fosse obbligatorio, per l’introduzione del pareggio di bilancio nella nostra Costituzione; al quantitative easing per non avere un precipizio di tante Grece che avrebbe rappresentato la fine dell’Ue, al «debito buono e cattivo»; fino allo sfrenato «fare debito pubblico» per il quale dobbiamo «ringraziare» solo la devastante pandemia che ancora ci attanaglia. Unica verità che lei infatti ribadisce, le giuste «irreversibilità della scelta dell’euro» e la prospettiva di un «bilancio comune».

Questo è l’Unione europea realizzata: una moneta. Nient’altro. Altiero Spinelli avrebbe qualcosa da ridire. Il maestro di Draghi, Federico Caffè, ricordava che «l’efficienza senza ideali fa dell’economia una ‘scienza crudele’«.