Oggi, 20 settembre 2018, uno degli obiettivi politici di molti governi europei sembra pienamente raggiunto: il Mediterraneo centrale è privo di presidi umanitari, di imbarcazioni destinate a prestare soccorso, di mezzi attrezzati e personale formato al fine di salvare vite umane.

Dunque, con la sola eccezione della nave Aquarius, dove opera Medici Senza Frontiere, il Mediterraneo è stato, per così dire, sgomberato dalla presenza di tutti i soccorritori e i volontari. E di tutti gli operatori umanitari (medici, psicologi, mediatori e interpreti) – a partire dal 2015 – hanno realizzato centinaia di missioni e centinaia di salvataggi, risparmiando migliaia e migliaia di vittime, offrendo riparo e protezione ai fuggiaschi di tante guerre e di tante miserie. E riducendo il numero delle stragi che, non da ieri ma dai primi anni novanta (attenzione: dai primi anni novanta), si ripetono in quel tratto di mare. Ora lì operano, quando operano, solo navi e organismi degli stati europei, in genere indirizzati verso la difesa delle frontiere piuttosto che verso il soccorso dei naufraghi.

E alcune guardie costiere prive di indirizzi politici univoci e le motovedette della Libia (meglio sarebbe dire: delle diverse milizie libiche). È ciò che alcuni governi europei, compreso quello italiano, si sono proposti da tempo: cancellare, o comunque ridurre al minimo, il ruolo delle organizzazioni non governative finalizzate al soccorso per lasciare campo libero all’attività di respingimento di migranti e profughi attraverso il blocco del Mediterraneo con la chiusura di porti, vie d’accesso, canali di fuga e rotte alternative. L’obiettivo è chiarissimo: attraverso l’esclusione delle Ong si persegue la mortificazione, fino all’annullamento, del diritto/dovere al soccorso.

E per ottenere quest’ultimo scopo, nel corso degli ultimi due anni si è attuata una sequenza micidiale: prima una campagna di delegittimazione delle Ong tramite lo sfregio della loro identità e della loro immagine e l’indecente assimilazione dei soccorritori ai criminali («Le ong complici degli scafisti»); poi una successione di iniziative giudiziarie tendenti ad assimilare l’attività di soccorso a una fattispecie penale: ovvero il salvataggio come reato. Infine, un attacco politico fondato sulla rappresentazione di migranti e richiedenti asilo come nemici della stabilità e della sicurezza dell’Europa – e in particolare dell’Italia – e delle ong come loro complici e sicari.

Oggi, a distanza di qualche anno da quando questa manovra politica è iniziata, sul piano giudiziario non c’è stato nemmeno un rinvio a giudizio per un solo membro di una sola ong e, all’opposto, si sono avute ordinanze e sentenze che riconoscevano la loro attività come fondamentale e pienamente rispettosa delle leggi e del diritto internazionale. Tuttavia, come si è detto, oggi nel Mar Mediterraneo i presidi umanitari sono ridotti al lumicino e le conseguenze materiali e il relativo carico di sofferenze è stato onerosissimo. Le navi delle Ong hanno dovuto percorrere molte miglia in più durante ciascuna missione e sono rimaste in mare per giorni senza l’indicazione di un porto di approdo sicuro – costringendo donne, uomini e bambini, già provati fisicamente e psicologicamente, ad affrontare lunghissime traversate, spesso in condizioni meteorologiche avverse. Non solo, quindi, le recenti politiche nazionali e internazionali hanno messo in pericolo la loro incolumità e quella degli equipaggi delle Ong, ma perfino la Guardia Costiera italiana, come è  noto, ha dovuto attendere dieci giorni prima di poter sbarcare a Catania le persone salvate.

Eppure la partita è tutt’altro che conclusa. I flussi di migranti e profughi continuano e le morti non si arrestano. E la riduzione delle cifre relative agli sbarchi corrisponde, in una certa misura, all’incremento del numero di quanti vengono rinchiusi nei centri di detenzione in Libia, e lì torturati, stuprati, uccisi. L’assenza di presidi umanitari nel Mediterraneo fa sì che sempre meno si sappia di quanto lì accade: ma se è vero, come è vero, che appena qualche giorno fa ben 184 persone sono sbarcate a Lampedusa, ciò significa che le fughe continuano ma che si sono fatte meno visibili e meno controllabili.

Per tutte queste ragioni, ieri si è tenuta una conferenza stampa alla Camera dei Deputati dove Sandro Veronesi, i rappresentanti di Proactiva Open Arms, Sea Watch e Medici Senza Frontiere, Eleonora Forenza, Riccardo Magi e chi scrive, hanno ragionato intorno al tema «Mediterraneo. Mare loro». Si è ricordato che Proactiva Open Arms ha deciso di trasferire le sue missioni nel Mediterraneo Occidentale, in attesa di tornare il prima possibile a fare il suo lavoro: salvare vite umane. Altrettanto intendono fare Sea Watch e Medici Senza Frontiere, come hanno affermato Giorgia Linardi e Marco Bertotto, convinti che il diritto/dovere al soccorso costituisca una prerogativa fondamentale della civiltà umana.
*Capo Missione di Proactiva Open Arms; Presidente di A Buon Diritto Onlus