Cinque anni fa, il sostegno di Ermanno Rea per Luigi de Magistris, attraverso le colonne del manifesto, fu entusiasta: «Mi pare il candidato più idoneo non dico a risolvere, ma quantomeno ad affrontare i problemi di Napoli».

Oggi, alla vigilia di nuove elezioni cittadine, nell’animo dello scrittore di Mistero napoletano e La dismissione prevale il disincanto: «Da napoletano, devo confessare che il sindaco uscente mi ha deluso, anche se ritengo che rimanga l’unica carta da giocare».

All’epoca lei sostenne in un’intervista a questo giornale che Napoli aveva bisogno di «una speranza» e di qualcuno che avesse «la capacità di riaccenderla». De Magistris, a suo dire, aveva «tutte le carte in regola per provarci». Oggi si dice deluso. Per quali ragioni?

Non posso negare che cinque anni fa ero molto più fiducioso sulla sua figura. Riconosco che de Magistris ha fatto molte cose egregie, però non c’è stata l’inversione di rotta sperata. La città continua ad affogare nei suoi malanni.

Dov’è che il sindaco avrebbe fallito, secondo lei?

Sul piano della democrazia di base. Capita a molti, a Napoli, di perdere il contatto con la città, una volta arrivati nella stanza dei bottoni. E’ successo un po’ pure a lui.

Può fare qualche esempio?

Napoli, con tutte le sue contraddizioni, è una città con una grande tradizione culturale. Ci sono fermenti enormi, basti pensare al teatro, alla musica, al cinema, ma tutti vanno avanti sul piano del talento personale e non trovano un’organizzazione generale. Qui mi sento di muovere una critica a de Magistris: è mancata una mente centrale, capace di organizzare queste energie.

De Magistris ha sempre lamentato di essere boicottato dal governo, soprattutto dal punto di vista finanziario. Basti pensare a quello che è avvenuto con l’azienda dell’acqua ripubblicizzata: dovrebbe essere un modello di applicazione del referendum del 2011 e invece è ostacolata in ogni modo.

E’ vero. I Comuni sono stati tartassati dal governo e Napoli ne ha sofferto più degli altri. Il governo Renzi non ha fatto niente per la città, a tutti i livelli: economico-finanziario, di controllo del territorio. Purtroppo, quando lo Stato non riesce a essere presente emerge l’anti-Stato, contro il quale è difficile lottare. Ciononostante penso che pur con le difficoltà economiche e i contrasti con il governo sia possibile creare qualcosa. Le faccio l’esempio del prete della Sanità don Antonio Loffredo, che con mezzi modesti è stato capace di creare una “speranzella” in un quartiere disgraziato. In città invece cosa è accaduto?

Sull’altro fronte, non è che il Pd sia messo meglio.

Napoli vive uno stato depressivo, la partenza elettorale mi pare molto sotto tono. Le primarie del Pd e la conclusione con un’enigmatica archiviazione della candidatura di Antonio Bassolino hanno alimentato sfiducia e delusione. Perché l’ex sindaco e presidente della Regione, dopo aver promesso fuoco e fiamme, si è ritirato?

Matteo Renzi di recente pare aver riscoperto Napoli e il Mezzogiorno: è andato a Bagnoli litigando con de Magistris sulla bonifica e ha annunciato lo sbarco della Apple nella capitale del sud, accompagnata da 600 nuovi posti di lavoro.

La mia impressione è che Renzi utilizzi Napoli e il Sud, con i loro drammi, solo a scopo elettorale. I progetti del premier mi lasciano molto scettico. Certo, gli investimenti sono importanti, ma il Mezzogiorno non ha bisogno solo di quelli. C’è necessità di un capovolgimento delle politiche, soprattutto culturali, e di creare una nuova classe dirigente. Non saranno alcuni miliardi in più o in meno a risolvere i problemi. Finché non si capirà che la questione meridionale è una questione italiana, non si uscirà mai dal baratro. L’Italia deve decidere che il Sud è un suo problema. Anche la vicenda di Bagnoli, sulla quale pesano errori antichi, avrebbe bisogno di ben altro impegno per essere portata a conclusione con successo. Non basta l’arrivo a sorpresa di un primo ministro che promette di risolvere annose questioni con la bacchetta magica, come un deus ex machina.

Cinque anni fa aveva invitato de Magistris ad arruolare «le energie intellettuali che in questi anni si sono impegnate a configurare un diverso modello di sviluppo». Oggi cosa gli consiglierebbe?

Credo sia necessaria una mobilitazione generale che progetti un futuro democratico per la città. Nonostante la crisi economica, Napoli rimane una città creativa, ricca di fermenti sociali e culturali: ci sono tanti giovani che potrebbero essere utilizzati. Tra l’altro, mobilitare democraticamente la città costituirebbe pure un’arma efficace contro la malavita organizzata.

Lei vive a Roma, ma non ha mai abbandonato Napoli. Solo negli ultimi cinque anni le ha dedicato tre libri: «La comunista», «Il sorriso di don Giovanni» e «Il caso Piegari». In autunno uscirà per Feltrinelli un nuovo romanzo in cui la città è ancora una volta al centro: è ambientato nel Rione Sanità, che una volta ha definito come «una Napoli al quadrato» dove i pregi e i difetti della città sono amplificati e dunque visibili più nitidamente.

Ultimamente non riesco a tornare molto a Napoli, anche per ragioni legate all’età. La mia rimane una presenza emotiva, passionale, intellettuale, come dimostra pure la mia candidatura alle europee, due anni fa, con la lista L’altra Europa con Tsipras (Rea fu capolista per il Sud, ndr). Il mio prossimo romanzo vedrà come protagonista il Rione Sanità, dove un prete con pochissime risorse è riuscito a creare la “speranzella” di cui dicevo prima. Se c’è riuscito un parroco di un quartiere povero e derelitto, perché non può riuscirci un sindaco che di sicuro ha più mezzi?

Tra aspettative deluse e “speranzelle” realizzate, pensa che ci siano alternative a de Magistris?

In questo momento nessuna. Per questo ritengo che, nonostante le critiche che mi sento di rivolgergli, de Magistris rimanga l’unica carta da giocare. Le dirò di più: una candidata della sua coalizione mi ha già chiesto di appoggiarla e io la sosterrò apertamente.