Con un comunicato finale in 12 punti, che dice tutto e niente allo stesso tempo, ‎ieri Iran, Russia e Turchia al vertice di Tehran hanno segnalato di non aver ‎superato le divergenze sull’offensiva che l’esercito siriano si prepara a lanciare ‎contro le formazioni qaediste e jihadiste per riprendere il controllo della regione di ‎Idlib. Il presidente turco Erdogan, nemico del leader siriano Bashar Assad, si è ‎mostrato apertamente in disaccordo con Vladimir Putin durante la conferenza ‎stampa tenuta nella capitale iraniana e ha parlato di ‎«bagno di sangue‎» in ‎conseguenza di un attacco delle forze governative siriane. ‎«Nessuna mossa ‎avventata deve essere intrapresa in Siria con il pretesto della lotta al terrorismo‎», ‎ha avvertito. Davanti ai giornalisti, Erdogan ha poi criticato la dichiarazione ‎congiunta perché non include la parola ‎«tregua‎». Putin ha replicato, con ironia, ‎che i gruppi armati che combattono contro Damasco, come lo Stato islamico e il ‎Fronte di al Nusra, non avendo preso parte ai colloqui non possono garantire il ‎cessate il fuoco che vorrebbe Erdogan. Su di un punto Putin, alleato di Assad, è ‎stato molto fermo. Damasco, ha detto, ‎«ha ragione e deve prendere il controllo di ‎tutto il suo territorio nazionale‎» e ribadito con forza che la Russia intende ‎combattere i jihadisti. Con lui si è schierato il presidente iraniano Hassan Rouhani, ‎secondo il quale ‎«combattere il terrorismo a Idlib è una parte inevitabile della ‎missione per ripristinare la pace e la stabilità in Siria‎».‎

‎ Il testo della dichiarazione del vertice è il minimo comune denominatore che ‎evita la frattura e permette il proseguimento degli incontri tra i tre leader ‎cominciati ad Astana e che dovrebbero continuare in Russia. ‎«Non può esserci ‎una soluzione militare al conflitto in Siria‎‎» ma ‎«solo attraverso un processo ‎politico negoziato‎» afferma in un punto la dichiarazione assecondando le ‎pressioni di Erdogan che dall’offensiva contro Idlib (tre milioni di abitanti) teme ‎anche l’inizio di un nuovo massiccio afflusso di profughi siriani verso il suo paese ‎che già ne ospita tre milioni e mezzo. Più avanti il comunicato, appoggiando le ‎posizioni di Mosca e Tehran, insiste per un ‎«forte e continuo impegno per la ‎sovranità, l’indipendenza, l’unità e l’integrità territoriale della Siria‎». Rivolge ‎inoltre un appello ‎«ai gruppi combattenti a deporre le armi‎» e ribadisce l’urgenza ‎di una prosecuzione della ‎«cooperazione per eliminare definitivamente il Fronte ‎al-Nusra e tutti gli altri gruppi associati con Al Qaeda e Daesh/Isis‎». ‎

Il dialogo tra i tre paesi andrà avanti ma la soluzione comune per Idlib non c’è. ‎L’offensiva governativa potrebbe cominciare nelle prossime ore. Durante la ‎conferenza stampa Putin ha detto di aver parlato con Erdogan e Rohani di una ‎‎«stabilizzazione graduale‎» a Idlib e di sperare che ‎«le organizzazioni terroristiche ‎avranno il buon senso di fermare la lotta e deporre le armi‎». Putin vuole che la ‎Turchia usi la sua influenza per spingere alla resa Hay’at Tahrir a Sham uno ‎schieramento di formazioni armate guidato dall’ex Fronte an Nusra, il ramo siriano ‎di al Qaeda. La Turchia sostiene di avere un’influenza limitata sui qaedisti che ‎controllano circa il 60% di Idlib. Ankara piuttosto vuole salvaguardare le ‎formazioni armate sue alleate che definisce “moderate”, come l’Esercito libero ‎siriano. Formazioni che vorrebbe impiegare per il controllo di una zona cuscinetto ‎all’interno di Idlib con l’obiettivo di tenere un piede in Siria contro i curdi e ‎pungere continuamente sul fianco occidentale Assad. Ieri ha persino proposto di ‎usare i ribelli “moderati” di Idlib per garantire la sicurezza delle basi russe nella ‎regione di Latakiya esposte agli attacchi, ora anche con droni, di Hay’at Tahrir a ‎Sham.

Chi vuole tenere un piede, e non solo quello, in Siria sono gli Stati uniti. Dopo ‎aver annunciato nei mesi scorsi il disimpegno, ora Washington afferma che i 2mila ‎‎(almeno) soldati e agenti segreti americani nel nord-est e nel sud della Siria non ‎andranno via sino a quando non lo faranno anche i combattenti e consiglieri ‎militari dell’Iran e delle milizie sue alleate. Un centinaio di soldati Usa nell’area di ‎At Tanf, nella Siria meridionale, nei giorni scorsi hanno cominciato esercitazioni ‎in risposta all’annuncio della Russia che afferma la volontà di colpire con i suoi ‎aerei i gruppi jihadisti che operano in quella provincia. ‎
‎ Il presidente Rohani ieri ha fatto gli onori di casa e mantenuto una posizione di ‎basso profilo lasciando a Putin il compito di ribadire la posizione comune di ‎Mosca e Tehran. Ha insistito con forza su un punto: gli americani devono lasciare ‎la Siria. A margine del vertice, Erdogan ha incontrato la guida suprema iraniana, ‎l’ayatollah Ali Khamenei. I due paesi puntano a una maggiore cooperazione ‎economica per meglio rispondere alle sanzioni americane. ‎