Un dibattito vivace è aperto dentro Sinistra Italiana. Semplificando, tra chi vuole interrompere l’esperienza di Liberi e Uguali e chi proseguirla.

L’insuccesso di LeU è evidente a tutti ed esso si inscrive dentro quello di tutte le sfumature di sinistra.

Carlo Galli ne ha fatto una ricostruzione lucidissima e drammatica parlando della sinistra come di un malato terminale. Eppure il titolo di un bell’incontro organizzato da Beppe Provenzano era “Sinistra anno zero” e lo scritto di Galli si intitola “La sinistra e la speranza”. Si pensa ancora, quindi, che di Sinistra ci sia bisogno.

Ma ciò che accade attorno a noi dice anche altro. Gli ultimi dati Ocse di ieri confermano che l’Italia é il paese europeo in cui sono più cresciute le disuguaglianze e mostrano una relazione inedita: disuguaglianze al massimo, sinistra al minimo. Gridano, quindi, la sinistra è inutile se non persegue uguaglianza.

Nel confronto tra forze che si identificano col binomio nuovo-vecchio (con le varianti establishment- antiestablishment o alto-basso) e quelle di sinistra-destra la maggioranza degli elettori ha scelto il primo gruppo relegando i partiti della seconda repubblica tra quelli destinati al declino.

La crisi della sinistra, quindi, incrocia problemi vecchi come la distribuzione della ricchezza e nuovi come l’identità dei soggetti politici nella società contemporanea.

Questo scenario impone di orientarsi dentro il quadrilatero sinistra/destra/nuovo/vecchio. Collocarsi nel quadrante sinistra/nuovo è scontato, ma quale spazio vi sia lo è meno.

Esso, ne abbiamo parlato, è oggi ampiamente occupato dal M5S ed il 4 marzo si è dilatato tanto da porre interrogativi nuovi sia alla sinistra che al M5S stesso.

Che succede quando masse di elettori di sinistra, il cui malessere prima sfociava nell’astensione, migrano verso un soggetto che si dichiara né di sinistra, né di destra? Esso diventa per questo più di sinistra o sono gli elettori che rinunciano al loro essere di sinistra? E la sinistra come deve rapportarsi a questi elettori?

Accusandoli di non aver capito il pericolo e di favorire la destra o considerandoli ancora base di riferimento alla quale rispondere cambiando se stessa?

Ed il M5S quali implicazioni deve trarne soprattutto nel momento in cui la sua crescita è così rilevante che lo candida ad assumere responsabilità di governo e, quindi, a conciliare speranze alimentate e realismo nella gestione?

Il candidato premier col suo fare rassicurante e con un diplomatismo da giovane andreottiano riesce a schivare le risposte. Ma per quanto tempo ancora? Ed infine quando i movimenti elettorali sono di queste dimensioni cosa fare per renderli reversibili ed evitare che producano nuove identità ed appartenenze?

Sembra a taluni che parlare di questi aspetti, inediti nelle acque stagnanti della politica italiana, sia politicismo o subordinazione culturale ai 5stelle. Altri, invece, preferiscono aspettare l’evoluzione della crisi (sperando si concluda con un accordo Lega-5stelle) per poter collocare definitivamente quel movimento nella destra e risparmiare così la fatica di mettersi in discussione.

Poiché stiamo parlando di persone e di sinistra, penso al contrario che di quelle domande e delle possibili risposte occorra parlare a prescindere e che occorra parlarne anche nel dibattito dentro SI e dentro Leu.

Ben venga, quindi, un dibattito anche aspro e che forze nuove si cimentino con la battaglia politica. Le nuove classi dirigenti nascono anche così. Ma esso non può essere ridotto ad un conflitto interno ad una componente piccola di una sinistra senza popolo.

E’ necessario che quelle domande se le pongano tutte le componenti di Leu e che il nuovo gruppo parlamentare sviluppi azione politica. Nella campagna elettorale sono state formulate proposte programmatiche sulle quali erano evidenti forti convergenze anche col M5S.

Adesso, nella fase di formazione del governo e di inizio delle attività parlamentari, si possono produrre atti ed azioni coerenti sui quali delineare un rapporto nuovo di confronto/ sfida/collaborazione/competizione.

Siamo in una fase transitoria nel processo di scomposizione – ricomposizione delle forze politiche. Gli esiti, compreso il futuro della sinistra, dipenderanno anche da quello che facciamo oggi. Chi vuole restare in riva al fiume ad aspettare che passi il cadavere del nemico lo faccia.

Noi non possiamo e non dobbiamo perché, dopo queste elezioni, deludere le speranze del sud e dei giovani significa rischiare di veder passare il cadavere della democrazia.