Il più ottimista, come spesso accade in queste situazioni, è Trump; il presidente americano prima porta al limite la tensione su certi temi – attaccando a testa bassa la Cina per la vicenda Huawei – poi dispensa fiducia e «colpacci», come nel caso dei dialoghi tra i delegati cinesi e i negoziatori americani per arrivare a un compromesso più forte dell’attuale tregua.

Trump sente odore di grandi kermesse e dunque si lascia andare a toni trionfalistici, gettando nel panico gli operatori del mercato della soia, dopo aver annunciato un acquisto «tremendous» da parte cinese (i media al di qua della muraglia hanno trascorso la giornata di ieri a dimostrare come il supposto acquisto di «5milioni di tonnellate di soia al giorno» sia irrealistico); a breve infatti The Donald potrà sfoggiare tutta la sua passione per happening iper mediatici: a fine febbraio dovrebbe incontrare prima Kim Jong-un e poi proprio il suo «grande amico» Xi Jinping. Sarà l’incontro con il presidente cinese, secondo Trump, a risolvere tutto: «Nessun accordo finale sarà raggiunto fino a quando io e il mio amico presidente Xi ci incontreremo nel prossimo futuro per discutere di queste difficili questioni».

I cinesi, ovviamente, si muovono con molta più circospezione: sanno di giocarsi tantissimo con questo accordo, all’interno di uno scontro che come Pechino aveva ampiamente previsto «non avrà vincitori».

Alla Cina serve assolutamente arrivare a un compromesso stabile nel tempo perché di mezzo c’è un rallentamento della crescita cinese che preoccupa tutto il mondo. Gli ultimi dati parlano di un rallentamento importante, anche nella produzione manifatturiera. Trovare un accordo è vitale perché i dazi hanno già ampiamente dimostrato di colpire l’economia cinese. Anche per questo si parla di un possibile accordo «regolato» da meccanismi in grado di verificare lo status quo dell’eventuale compromesso