«Abbiamo semplicemente applicato una regola. L’avviso di garanzia ci è stato nascosto per tre mesi. Siamo l’M5S, non il Pd». Parla Luigi Di Maio, il dirigente pentastellato preso di petto con nome e cognome da Pizzarotti, il sindaco sospeso. Difende a spada tratta la misura draconiana adottata dal Direttorio. Dicono che il principe della corona a cinque stelle, che è anche responsabile dei Comuni, non fosse poi così convinto e che a forzare la mano sia stato l’erede della dinastia Casaleggio, ma come sempre quando si tratta di un MoVimento che somiglia più a una setta che a un partito capire come stiano le cose è difficile.

Convintissimo sembra comunque il fondatore, Beppe Grillo, che ieri ha pubblicato sul suo blog il botta e risposta via mail che ha dato il via alla defenestrazione di Federico Pizzarotti. «Il fatto di aver sottaciuto l’apertura di un procedimento penale a tuo carico per reati contro la pubblica amministrazione e l’aver rifiutato di inviare copia dell’avviso e relativa documentazione integrano comportamenti radicalmente incompatibili con la tua permanenza all’interno dell’M5S». Quel verbo, «integrano», dice molto. Rivela quanto Pizzarotti fosse ormai sopportato a fatica, con o senza avvisi. La mail di risposta, pubblicata anch’essa sul blog del comico, è più laconica, non meno battagliera: «Adesso sì che ci divertiamo».

Col passar delle ore la furia di del sindaco è diventata ribollente: «Il movimento ha sbracato, potrei fargli causa, non ha senso restare».

Mediaticamente la decapitazione ha sortito effetti disastrosi, soprattutto per quella che è apparsa una ingiustificata disparità nel trattamento riservato al primo cittadino di Parma e a quello, anche lui indagato, di Livorno, Nogarin. I pentastellati si sgolano ripetendo che la posizione dei due è diversa, che Pizzarotti è stato punito per aver nascosto l’avviso, non per averlo ricevuto, mentre per quanto riguarda Nogarin, che col Movimento è stato «corretto», la scelta finale deve ancora essere fatta. Persino la candidata sindaca di Roma, Virginia Raggi, che è tra i pochi esponenti del Movimento ad aver mantenuto nei mesi scorsi una certa vicinanza con il reprobo parmense, si schiera con gli epuratori: «C’è stato un problema di trasparenza, soprattutto nei confronti dei cittadini».

Gli sms di Pizzarotti e della moglie al direttorio

Il problema è che alle giustificazioni del Direttorio non ci crede nessuno, e il fatto che il sommerso fosse un dissidente e il salvato un ortodosso non rende la spiegazione più credibile. Una stampa e un mondo politico monoliticamente ostili ci sono andati poi comprensibilmente a nozze.

Inutile dare conto di tutte le dichiarazioni, il senso è univoco: «Ipocriti abituati a usare due pesi e due misure per gli amici o i nemici». Non è detto però che le cose stiano proprio così. È un fatto che di quell’avviso Pizzarotti non avesse avvertito nessuno. Lui afferma che aspettava di chiarire con i pm, che se non fosse saltato l’incontro fissato in procura il 29 aprile avrebbe reso nota l’imbarazzante indagine a suo carico. Però, per un movimento che su quel fronte è tanto sensibile quanto sotto assedio, e con un dirigente che è tra i più noti, anche il silenzio del parmense tanto corretto non lo si può proprio definire.

Quando si parla delle Cinque Stelle, inoltre, non bisogna mai dimenticare che si tratta di un movimento modellato sulle dinamiche della setta più che su quelle del partito, dunque estremamente rigido. In realtà la scomunica sarebbe probabilmente scattata anche se non si fosse trattato di un dissidente.

Ma i metodi, inauditi nella loro rozza brutalità, tali da esporsi alla facile ma inevitabile ironia di Maria Elena Boschi, «Noi siamo all’antica, ci vediamo di persona, non riceviamo mail anonime che ci dicono se dobbiamo dimetterci», quelli riflettono tutto il livore accumulato nei confronti di Pizzarotti dai pentastellati. Pare davvero incredibile che un movimento così attento alla comunicazione possa aver preso una decisione che pare destinata a trasformarsi in micidiale boomerang. Bisognerà attendere per dire l’ultima parola. Sin qui le regole settarie, che hanno già portato alla cacciate di decine di parlamentari eletti, non hanno sottratto a Grillo consensi. Pizzarotti è un’altra cosa: questa sarà davvero la prova della verità per i metodi stabiliti da Gianroberto Casaleggio.

In una pacificazione, infatti, non c’è quasi da sperarci. Il defenestrato non ha ancora deciso se difendersi all’interno del Movimento. «Dipende da che atteggiamento avranno. Fossi in Di Maio verrei a Parma». Ma che «i Direttori» tentino di recuperare un sindaco troppo autonomo e che già non sopportano è ben poco probabile.