È iniziato ieri, e si estenderà fino al 31 gennaio, il tour de force al Congresso argentino per la discussione di un pacchetto di iniziative promosse da Javier Milei a completamento del Decreto di necessità e urgenza (Dnu) sulla deregulation e le privatizzazioni presentato dal governo mercoledì scorso. Se avesse potuto bypassare il parlamento anche in questo caso, Milei lo avrebbe certamente fatto – dipendesse da lui, si sa, governerebbe per decreto – ma per alcune delle misure previste dalla legge-omnibus preparata dalla squadra guidata dall’ex capo della Banca centrale Federico Sturzenegger non c’era scappatoia possibile.

È IL CASO DELLA REVOCA della riduzione dell’imposta sul reddito per la maggioranza dei lavoratori, decisa lo scorso settembre dall’ex ministro dell’economia e candidato peronista alla presidenza Sergio Massa, a beneficio dei lavoratori con stipendi lordi al di sotto dei due milioni di pesos (2.250 euro). Beneficio che, nelle aspirazioni dell’esecutivo, dovrebbe essere limitato solo a chi guadagna meno di 975mila pesos (1.090 euro), a conferma della monumentale menzogna sostenuta in campagna elettorale: che, cioè, l’aggiustamento portato avanti dal suo governo lo avrebbe pagato solo la casta.

MA IL DISEGNO DI LEGGE al centro della serie di sessioni straordinarie del Congresso convocate da Milei prevede anche altri punti, tra cui un’ampia e profonda riforma dello Stato e l’istituzione del sistema di voto unico, come anche il patto per la protezione reciproca degli investimenti con gli Emirati arabi e l’esame dei trattati internazionali. A tenere banco nella discussione politica è però sempre il Dnu, con cui la motosega di Milei si è abbattuta su più di 300 leggi riguardanti economia, finanza, lavoro, cultura, sport. Ma non tutto va liscio per il nuovo governo. Se da un lato un giudice federale argentino ha accolto un’azione collettiva delle organizzazioni civili per dichiarare incostituzionale il megadecreto sulla deregulation, con l’accusa di abuso di potere e violazione dei diritti collettivi, dall’altro avanza, nella società civile, il programma di lotta contro quella che il dirigente sindacale Hugo Cachorro Godoy, segretario generale della Cta Autónoma, ha definito una «bomba al neutrone» destinata a «radere al suolo l’Argentina, le istituzioni della repubblica e tutti i diritti faticosamente conquistati durante tanti anni».

COSÌ, INCURANTI del repressivo e ricattatorio protocollo per il mantenimento dell’ordine pubblico voluto dalla ministra della sicurezza Patricia Bullrich alla faccia della «libertà che avanza», movimenti popolari e sindacati hanno indetto per oggi una manifestazione davanti ai tribunali per chiedere l’impugnazione del cosiddetto decretazo e la sospensione di tutti i suoi effetti, in attesa di definire la data per uno sciopero generale contro le politiche di aggiustamento del nuovo governo. Che la luna di miele dell’elettorato con el loco Milei rischi di diventare la più breve della storia del paese sembra confermarlo anche un sondaggio promosso dal prestigioso Centro de Estudios de Opinión Pública: sarebbe più della metà della popolazione (il 54,4%) a opporsi al Decreto di necessità e urgenza.

UN RIFIUTO dettato da ragioni democratiche – per la maggior parte delle norme non vi sarebbe né necessità né urgenza, mentre altre non andrebbero semplicemente applicate per decreto – e da ragioni economiche: anziché colpire la casta, il Dnu favorirebbe i potenti a scapito delle fasce più povere e della classe media, proprio quella che aveva condotto Milei alla presidenza e che ora guarda con timore ai tagli all’occupazione. Come ha annunciato in conferenza stampa il portavoce presidenziale Manuel Adorni, 7mila contratti pubblici in scadenza il 31 dicembre non verranno rinnovati nel 2024.

IN APPENA 12 giorni, dal 10 al 22 dicembre – un tempo per di più caratterizzato da un clima di speranza – la popolarità del presidente è scesa dal 60,8% al 54,7%: un tasso di approvazione ancora molto alto, ma decisamente in calo.