Possibile che il futuro energetico del paese, anzi dell’Europa, non meriti nel nostro neanche un dibattito parlamentare? Che il Pd, primo, sia pure di pochissimo, nei sondaggi, e quindi con maggiori responsabilità, su questioni così importanti come la scelta da compiere fra fonti rinnovabili o nucleare e gas, fino ad ora si sia limitato ad intervenire con un tweet del suo segretario, anziché con una meditata decisione collettiva? Sono importanti ma non sufficienti a colmare questo vuoto di discussione e decisione della principale istituzione del paese, le iniziative di vari parlamentari.

Proprio oggi direi che siamo arrivati al colmo: il presidente, Starace, della principale azienda energetica italiana pubblico/privata come l’Enel, viene fuori con una intervista a la Repubblica abbastanza straordinaria in cui ci dice che bisogna puntare per prima cosa sulle rinnovabili, che sono le più moderne, le meno care (per chi produce e per chi è consumatore e paga le bollette), le più adatte al nostro tempo. E aggiunge che sarebbe ridicolo ricorrere al nucleare.

Benissimo, di queste dichiarazioni noi siamo contenti, anche se contengono qualche ambiguità e non sciolgono tutti i nodi a cominciare dalle varie turbogas che Enel pretende di costruire. Ma finalmente una proposta su cui si può discutere e lavorare.

E però: in che rapporto sta il progetto Enel con quello del ministro per la transizione, Cingolani, che ha detto il contrario?

Cosa dobbiamo attenderci dal governo italiano in merito alla sconsiderata proposta della Commissione europea che ha incluso nella tassonomia, indicandole come fonti rinnovabili e dunque autorizzate a beneficiare degli aiuti pubblici previsti, il gas (che si dovrebbe invece cancellare) e persino il nucleare che non c’è scienziato che non dica che non si può proprio fare perché non si sa ancora dove mettere le sue scorie mortali e perché ha costi e tempi di attuazione proibitivi?

Cosa risponderanno fra pochi giorni a Bruxelles i diversi governi europei è già stato annunciato: contrari: quelli di Spagna, Portogallo, Austria, Lussemburgo, Danimarca. E ora persino della Germania che sembrava paralizzata da un accordo tacito con la Francia, concluso dalle rispettive lobbies e che sembra invece smentito dal nuovo esecutivo tedesco che ha riconfermato la chiusura definitiva delle sue centrali nucleari entro l’anno e chiarito che il gas non sarà proibito se resterà nelle proporzioni di una breve transizione e comunque non potrà ricevere aiuto pubblico.

Uno schieramento purtroppo non sufficiente a respingere la proposta della Commissione (pesa il si dei tanti sovranisti dell’est) ma abbastanza autorevole, a cui però il No dell’Italia potrebbe dare abbastanza forza per riaprire il discorso.

C’è in questa assenza di confronto e mancata informazione alla popolazione un segno evidente del degrado a cui sono state portate le istituzioni democratiche.

In questi mesi così complessi per via della pandemia la degenerazione dell’ordinamento democratico ha compiuto un salto di qualità. Non si tratta solo dell’ennesima manifestazione di arroganza di questo o quel governante, ma il segnale di una concezione della politica intesa come guerra di lobby, sottratta a qualsiasi controllo e in particolare a quello popolare, la tendenza a sostituire i partiti con centri di potere occulti che operano fuori dalle istituzioni e decidono ciò che le istituzioni dovrebbero decidere.

É in questo clima che prende piede un ceto politico arrogante che sostituisce alla politica il comando. La proposta europea è nota da 10 giorni ed è assurdo che nessuno sappia cosa ne pensi il presidente del consiglio Draghi e il suo governo.

Per fortuna dal basso, dai luoghi che subiscono le conseguenze della scelta di voler continuare a produrre energia col gas, la partecipazione la popolazione se la prende.

Ciò che è successo a Civitavecchia lo testimonia. La Camera del lavoro locale, insieme a competenze disinteressate, a molte associazioni ecologiste, ha pazientemente costruito negli ultimi tre anni la ribellione.

Siamo In un territorio devastato dalle scelte che l’Enel ha da decenni compiuto, prima con un tentativo di avviare il programma nucleare e poi il carbone, miracolosamente chiamato pulito, che ora pretende convertirlo in una centrale turbogas. Questo è in contraddizione con le parole oggi pronunciate dal suo presidente, visto che ci sembrano assai più convincenti le indicazioni di chi dice che per compensare le intermittenze del vento e del sole basterebbero (e avanzerebbero) gli accumuli di energia idrica di cui l’Italia è ricca.

Lo scorso lunedi uno schieramento vastissimo ha unito dalle autorità portuali agli artigiani, dal sindaco al governo regionale, dalle associazioni ambientaliste tradizionali e più recenti come Laudato Si’, ai nuovi militanti di Friday for future, tutti insieme hanno preteso di sperimentare in quel territorio la validità di in nuovo modello energetico rinnovabile.

Tutto ciò va replicato e non manca la volontà di farlo, con la mobilitazione nazionale decisa per il 12 febbraio, da costruire con tanti eventi locali come Civitavecchia.