Una corte federale ha deliberato ancora una volta contro il «Travelban» tanto caro a Trump, dichiarando che il presidente, con l’ultima versione del decreto che impedisce a sei paesi a maggioranza musulmana di viaggiare e risiedere negli Usa, è ancora una volta andato oltre la portata della sua autorità.

Nonostante questo, il nono circuito della Corte d’appello statunitense con sede alle Hawaii, ha dovuto sospendere la decisione in attesa della revisione da parte della Corte Suprema, e nel frattempo il divieto dovrà rimanere in vigore.

LA SENTENZA DI 77 PAGINE rilasciata dalla corte hawaiana sottolinea che non ci sono basi, se non la dichiarazione di Trump, sul perché il semplice fatto di provenire da uno dei Paesi citati nel divieto, sia sufficiente a rendere qualcuno un rischio per la sicurezza nazionale americana.

Le Hawaii, che sin dall’inizio hanno combattuto contro ogni versione del ban di Trump, in questo ultimo caso stanno continuando a fare causa per fermare il divieto, in quanto, sostengono, sarà dannoso umanamente e socialmente perché le famiglie rischieranno di essere separate e il gli studi e le collaborazioni accademiche universitarie saranno ostacolate.

ALL’INIZIO DI QUESTO MESE, la Corte Suprema aveva revocato gli ordini temporanei emessi dai tribunali inferiori che avevano impedito l’attuazione dell’ultimo divieto di viaggio, ora il massimo organo legale americano non ha fissato le date di discussione della nuova obiezione che proviene dal nono circuito, perché non ha ancora deciso di concedere un ricorso, anche se sembra improbabile che non lo faccia.

Data la scioccante rapidità delle azioni esecutive e delle decisioni giudiziarie che si succedono una all’altra da quando Trump ha proclamato il primo Muslimban, questo è solo l’ultimo di una lunga serie di battaglie che non smetteranno di seguire. I giudici, in questo ultimo caso specifico, si sono concentrati sul fatto che Trump richieda degli accertamenti su alcune categorie di persone il cui ingresso negli Usa è considerato pericoloso solo basandosi sulla loro provenienza geografica, ma, secondo la legge sull’immigrazione, una tale determinazione deve essere dettagliata ben più che con un’affermazione aprioristica, prima di escludere 150 milioni di potenziali viaggiatori da Ciad, Iran, Libia, Somalia, Siria e Yemen.

LA PORTAVOCE del Dipartimento di giustizia, Lauren Ehrsam, ha dichiarato che l’agenzia è lieta che la Cortes Suprema abbia già permesso al governo di attuare la proclamazione e mantenere gli americani al sicuro mentre la questione è in discussione; di ben diverso parere è Eric Schneiderman, l’agguerrito procuratore generale di New York che su Twitter ha definito la decisione della corte hawaiana un colpo per il decreto di Trump.

IL NONO CIRCUITO della corte d’appello è un incubo per Trump: sono probabilmente i più acerrimi nemici dei decreti che vanno contro le libertà civili; bisogna considerare che le isole americane sono anche il luogo di nascita di Obama, cosa che Trump ha messo in dubbio per anni nonostante Obama abbia reso pubblico il proprio certificato di nascita. E quando Trump, poche settimane fa, per la prima volta da presidente si è recato alle Hawaii, è stato accolto da ali di cittadini che alzavano cartelli con scritto «Benvenuto in Kenia».