Si scrivono nelle chat per scambiarsi informazioni, si confortano nei social. Su facebook hanno creato la pagina «Italiani in Portogallo che hanno necessità di rimpatrio». Sono sparsi dal nord a sud del paese lusitano.

Sono circa 300, all’estero per studio, volontariato o lavoro. Tutti temporanei. Dopo Pasqua la Farnesina, attraverso l’ambasciata italiana, è riuscita a organizzare un volo speciale per il rimpatrio. Chi non ce l’ha fatta a prenderlo spera in un nuovo volo. Proprio ieri l’ambasciata ha risposto alle mail di alcuni di questi connazionali sostenendo che si sta impegnando a trovare una compagnia area disponibile a effettuare un collegamento diretto ma che finora non ha ricevuto alcuna risposta. Ma il problema è ben più vasto.

Secondo la mail dell’ambasciata, visionata da il manifesto, sono molti di più gli italiani che sognano il rimpatrio. Addirittura 20 mila tra residenti e temporanei. E non è semplice, anche perché, come ammette la nostra diplomazia, «siamo in pochi» a dovere gestire il flusso di richieste che arrivano ogni giorno. Per di più, da un mese e mezzo il Portogallo ha chiuso le frontiere con l’Italia e la Spagna. E quindi è tutto più complicato. L’unica possibilità, in questo momento, per chi vuole rientrare è di prendere un volo da Lisbona per Parigi o Francoforte, e da qui una coincidenza per Roma o Milano. Qualcuno costretto a lasciare la casa o che non ce la fa più a vivere in quarantena da solo dalla metà di marzo l’ha fatto, con l’angoscia che da qui al giorno della partenza possa accadere qualcosa di negativo.

Giulia, 25 anni, si trova a Arcos de Valdevez, una piccola città di 25 mila abitanti nel nord del Portogallo. Da fine aprile sta cercando in ogni modo di potere rientrare a Palermo. «Purtroppo non sapevo del primo volo speciale, ho scritto più volte all’ambasciata ma in questo momento non riescono ad aiutarci», racconta la ragazza, in isolamento da metà marzo in un appartamento messo a disposizione dall’associazione per la quale da otto mesi svolgeva volontariato in un centro giovanile. «Sono tra chi, quando ha avuto inizio il lockdown in Italia, ha deciso di restare all’estero, pur sapendo che avrei dovuto affrontare l’emergenza lontana dalla mia famiglia, in un paese straniero con lingua, cultura e sistema sanitari diversi dal mio e senza sapere quali provvedimenti sarebbero stati presi per contenere il virus».

Ora Giulia è allo stremo. «Ho atteso 15, poi 30, poi 50 giorni – racconta – Nel frattempo il Portogallo ha deciso di chiudere le frontiere e di valutare la riapertura il 17 maggio. Adesso ho stati di ansia e incertezza crescente, che mi hanno portata ad avere seri problemi di panico». L’unica via di ritorno sarebbe la triangolazione Lisbona-Parigi-Roma. «Un viaggio interminabile e pieno di rischi di contagio, per me che vivo dall’altra parte del Portogallo e dovrei raggiungere la Sicilia. Aiutatemi».