Un terremoto cambia sempre il volto del luogo che travolge. Un po’ perché distrugge quello che c’era e un po’ perché, dopo, si ricostruisce e niente sarà più «com’era e dov’era». Sull’Appennino funestato dalle scosse del 2016 e del 2017 la ricostruzione delle case non è mai cominciata davvero – nemmeno il 10% dei cantieri necessari è stato aperto -, ma il cratere è tutto un fiorire di centri commerciali, strutture per negozi e servizi, villaggi per botteghe e ristoranti, centri polifunzionali.

Oltre al caso macroscopico di Castelluccio, dove il «Deltaplano» da 11.000 metri quadrati è pronto a spiegare le sue ali, poco distante, a Norcia, c’è una struttura da 450 metri quadrati che ospita due sale (una da 150 posti e una da 70) divise da un blocco centrale di non meglio specificati «servizi». Il progettista è l’archistar Stefano Boeri, mentre i soldi vengono dalla raccolta solidale promossa dal Corriere della Sera e dal Tg di La7. Ci sono voluti appena tre mesi per tirarlo su e la consegna alla cittadinanza è datata 30 giugno 2017.

Un clamoroso esempio di efficienza e velocità mentre intorno tutto è fermo? L’esempio che, volendo, si può costruire in tempi ragionevoli? Certo, ma non solo.

Lo scorso marzo, la procura di Spoleto ha messo i sigilli alla struttura (denominata un po’ pomposamente «Norcia 4.0») e iscritto nel registro degli indagati il sindaco Nicola Alemanno e il progettista Boeri. Le ragioni dell’indagine si sposano alla perfezione con le perplessità che circondano il Deltaplano di Castelluccio.

La struttura sorge nel cuore di un parco nazionale (dove vigono leggi piuttosto severe in materia di tutela paesaggistica) e, soprattutto, secondo i pm non c’è alcuna certezza che alla fine ogni cosa verrà smontata. In sostanza il centro «Norcia 4.0» viene ritenuto definitivo, non provvisorio. Così cambia il volto di un territorio, in barba alle norme per la gestione dell’emergenza post terremoto, alle leggi urbanistiche e alle prescrizioni paesaggistiche. L’architetto Boeri reagì alla notizia dell’indagine con indignazione: «Si tratta di un gigantesco equivoco: è smontabile e rimontabile completamente, impianti inclusi», disse in prima battuta ai cronisti. In televisione il direttore del tg di La 7 Enrico Mentana parlò apertamente di «vergogna» e minacciò: «Se dovesse succedere qualcosa, speriamo di no, i cittadini che dovessero trovarsi in difficoltà andrebbero a casa del pm di Spoleto?». Seguì un ricorso, con la terza sezione della Cassazione che, lo scorso luglio, ha dissequestrato il centro. L’indagine, tuttavia, resta aperta. Il gip del tribunale di Spoleto, Stefano Salerno, nella sua ordinanza dice in maniera piuttosto chiara che «è chiaramente insussistente l’applicabilità della disciplina straordinaria fissata dalla protezione civile nel 2016». E ancora: la struttura «veniva indicata come struttura permanente polivalente in legno a uso sociale, contrariamente a quanto previsto nella disciplina legale della procedura amministrativa seguita, la cui applicazione è limitata a opere temporanee». In sostanza, si tratta di un abuso edilizio «destinato ad avere un’incidenza negativa sulle diverse matrici ambientali e un impatto su una zona oggetto di particolare tutela».

In questa fase di eterno post sisma, l’Umbria è incappata ancora una volta in una storia di abusi edilizi: Casa Ancarano, altra struttura polivalente realizzata nel parco nazionale, è stata sequestrata ancora dalla procura di Spoleto all’inizio dell’anno. Stessi problemi di sempre: è in zona protetta e non sembra rimovibile come annunciato. I sigilli del sequestro, in questo caso, sono ancora lì.