La casa editrice Mimesis ha dato alle stampe due libri che ci conducono alle soglie delle manifestazioni naturali, si tratta di opere molto diverse tra loro: una, Quattro conferenze sulla storia naturale, è opera di Ralph Waldo Emerson (1803-1882), una delle figure di spicco del panorama universitario e intellettuale nord-americano del XIX secolo, l’altro Chernobyl Herbarium. La vita dopo il disastro nucleare è firmato dal ricercatore, docente, ambientalista e filosofo Michael Marder, con l’artista visiva Anais Tondeur.

EMERSON LO CONOSCIAMO bene: emerito docente universitario, maestro di Thoreau, parte di un movimento di poeti, artisti, autori che capovolsero il senso di appartenenza-ostilità che l’uomo europeo religioso e pio arrivato sulle coste del Nuovo Mondo aveva coltivato con una certa gelosia e ostinazione; la natura nemica, selvatica, rapace, ingenerosa, abitata da selvaggi, andava purgata e dominata, l’uomo distruggeva e poi ricostruiva case, mura, villaggi. Al contrario, spiriti come Emerson e Thoreau, Whitman e John Muir, Emily Dickinson e molti altri a seguire individuarono nella natura lo spirito guida della propria ispirazione, arrivando anche a lottare per proteggerla o comunque per instaurare un rapporto intimo, profondo, non il distacco ma la partecipazione, l’adesione.

NEL MEZZO SI STAGLIAVA sontuosamente l’autore del Moby Dick, Herman Melville, che vedeva e sapeva riconoscere la ferocia di Madre Natura ma al contempo ne rimaneva ipnotizzato, tanto da farne diventare un’ossessione per il suo alter ego protagonista, il capitano Achab.

LE CONFERENZE DI EMERSON si sgranano negli anni 1833-1834 e appartengono a quel magma di intuizioni e riflessioni che gli aprono le pagine del «vangelo della natura», come lo indica anche la curatrice del volume, Agnese Maria Fortuna, e che alimenteranno nel 1936 la stesura di Nature, forse tra tutte le opere di Emerson, poesie comprese, il suo capolavoro; la parola vangelo accostata a natura non è un azzardo, al contrario un predicatore come Emerson fa un viaggio in Europa nel 1833 durante il quale visita anche l’Italia, ed è proprio qui che inizia a incuriosirsi della storia naturale, tanto da farne successivamente l’argomento di sermoni e quindi della sua nascente attività di conferenziere.

I QUATTRO TESTI RACCOLTI nel volume si intitolano Utilità della storia naturale, La relazione dell’uomo al globo, Acqua ed Il naturalista. Sono quattro testi davvero curiosi, e basti metterci il naso in questo passaggio che oggi, sinceramente, nessuno studioso avrebbe l’ardire d’imbastire, per comprendere il suo tatto, il passo del suo ragionare religiosamente: «L’Uomo – scritto con la u maiuscola – che si erge nel globo così fiero e potente, non è l’ultimo arrivato nella creazione, ma è stato profetizzato in natura per migliaia e migliaia di anni prima che facesse la sua comparsa; che da tempi incalcolabilmente remoti è avvenuta una progressiva preparazione per lui, uno sforzo di produrlo, poiché le creature più semplici, i sauri primordiali, contenevano gli elementi della sua struttura e miravano in ogni parte ad essa mentre il mondo si stava predisponendo a divenire umanamente abitabile» (pagina 122). Cononsoco studiosi che si infurierebbero ad accettare una visione dell’evoluzione così fiduciosamente antropo-centrica, anzi, antropo-architettonica.

MARDER PENETRA nei territori rinselvatichiti dell’Ucraina per raccogliere i campioni delle specie arboree sopravvissute e talora mutate dopo la tragedia del 1986, quando esplose il reattore 4 e una la nube radioattiva portò malattia e morte sul nostro continente. Questa oscura parte di mondo che molti abitanti hanno dimenticato e altri, pochi, continuano ad abitare con una caparbietà da un lato ammirabile e dall’altra scioccante, è stata al centro di molti documentari e reportage fotografici e filmati, di romanzi, di storie, nonché di avventure.

MA CHE COSA SUCCEDE laggiù? «I visitatori della foresta rossa vicino all’epicentro di Chernobyl osservano la seguente scena. Qui, i pini sono diventati rossastri e sono morti poco dopo l’incidente. I loro tronchi caduti si sono accumulati sul terreno negli ultimi trent’anni. Non si stanno decomponendo come dovrebbero, né vengono assorbiti nella terra o trasformati in compost. La scala temporale della loro esistenza finita è stata sconvolta e la medesima sorte è toccata anche alla morte, vale a dire alla materialità dell’aldilà, la decomposizione e il decadimento».

NON SOLO L’ESPLOSIONE e la contaminazione hanno interrotto la vita, ma ne hanno condizionato anche lo sviluppo successivo. Lo stile di scrittura suggerisce che Chernobyl Herbarium è un diario, ci racconta la convivenza immaginaria e fisica con gli esemplari di un erbario di piante raccolte e contaminate, che non sono soltanto dei totem, qualcosa da osservare per trasformarci, per continuare a vivere dopo la tragedia, per indicarci la via di qualcosa che si è interrotto o fratturato o spezzato. Sono frammenti di un discorso amoroso, che tende ad avvicinare la storia degli uomini e la storia della natura. Ad esempio (pagina 123). E infatti questo erbario non assomiglia alle raccolte di studi botanici a cui siamo abituati, è semmai una prova, un tentativo di fenomenologia incentrata su quella ferita nucleare che continuiamo a riaprire, che non vogliamo lasciar andare, che tratteniamo a noi pur di disquisire del tempo che sgocciola e ci sfugge dalle mani. Anche le tragedie servono a capire, e non necessariamente per non ricadere negli stessi errori. Anzi…